Venerdì 16 settembre 2005: per l'anticipo della quinta giornata del campionato di Serie B, il “mio” Catanzaro, già in pianta stabile all'ultimo posto (posizione che manterrà stoicamente fino alla fine della stagione), è atteso dalla trasferta in casa dell'Hellas Verona, per un match che si preannuncia più interessante sugli spalti che non sul rettangolo verde, nonostante il giorno lavorativo riduca lo zoccolo duro disposto ad attraversare in treno l'Italia a non più di una sessantina di persone.
La partita termina con una vittoria di misura della compagine scaligera, confermando i pronostici della vigilia, ma un rigore sbagliato nel finale dal centravanti ospite, Giorgio Corona, mette un po' di pepe alla partita ed esacerba in maniera inequivocabile i rapporti tra le due tifoserie. Così, al triplice fischio l'atmosfera nel settore ospiti era carica di adrenalina, sia per il risultato, ma soprattutto per ciò che sarebbe potuto succedere di lì a poco. Una volta saliti sul bus di linea che ci avrebbe condotti alla stazione, la tensione si tagliava a fette e visto il numero non elevatissimo, ognuno sapeva cosa fare: c'era chi era addetto a scardinare le porte del pullman qualora i veronesi avessero voluto manifestare la loro proverbiale antipatia nei confronti dei meridionali, e chi, nella medesima eventualità invece avrebbe dovuto “persuadere” l'autista a fermare il bus. Com'era prevedibile, un gruppo di ultras locali che all'epoca stazionava in tribuna fece la prima mossa, e com'era altrettanto prevedibile, la nostra intenzione era quella di farci valere e apprezzare anche in una delle piazze più rispettate d'Italia.
Ciò che invece era molto meno prevedibile fu la reazione della celere presente sul nostro autobus: neanche il tempo di palesare le nostre intenzioni e partì una carica a freddo, violentissima che arrivò dall'altra parte del mezzo; una persona fu letteralmente presa e buttata fuori dal pullman in corsa (è bene ricordare che in strada, non molto lontani c'erano ultras veronesi che stavano cercando il contatto con noi), e da lì all'arrivo alla stazione, un qualsiasi abitante della città di Romeo e Giulietta avrebbe visto uno spettacolo a dir poco surreale, roba che neanche i party-bus più movimentati: cariche e tentativi di resistenza su un autobus in corsa, ad un tratto addirittura per la violenza dello scontro si sfasciò la fiancata del mezzo, riuscii letteralmente a salvare un mio caro amico che stava per cadervi e poi, poiché all'epoca portavo lo striscione del mio gruppo, da difendere ad ogni costo, onde evitare guai ben più gravi mi misi lo zaino sotto la pancia e dopo l'ennesima carica della celere rimasi sul pavimento del pullman, sommerso da altre persone.
Arrivati in stazione, la rabbia era tantissima, seconda solo alla sensazione di impotenza per via della sproporzione numerica; dopo aver recuperato anche i ragazzi saltati (o fatti saltare) dal bus, ed essere, non senza complicazioni e recriminazioni, fatti salire sul treno, ripartiamo alla volta della Calabria, sicuri che non avremmo mai dimenticato quegli occhi pieni di odio (e di chissà cos'altro...) di quei celerini. L'indomani, com'era prassi in quei tempi, in cui i rapporti tra ultras non erano mediati dai social network e li potevi avere e mantenere solo se eri davvero dentro certi circuiti, mi arrivarono varie telefonate, per sapere come stavo da parte di quelli che all'epoca definivo “feticisti della pag.229 di televideo”, vale a dire quella in cui si parlava di eventuali incidenti allo stadio. Tra tutte, ne ricordo in particolare una, di un mio amico ultras dell'Avellino, ma residente in Sicilia che mi chiese lumi sull'accaduto, io gli dissi che una tale violenza da parte della polizia, a differenza di quanto avveniva nelle piazze, allo stadio l'avevo patita solo l'anno precedente a Catania quando la celere fece tabula rasa nell'antistadio al punto da far inorridire anche i finanzieri presenti che biasimarono tanto zelo (a proposito, indovinate chi c'era tra i poliziotti a Catania che comandò la carica contro di noi? Uhm, secondo me ci siete arrivati...). Il mio amico mi disse che anche nella precedente partita casalinga dell'Hellas, proprio contro l'Avellino erano successi casini analoghi, con in più l'arresto di vari supporters irpini. La telefonata si concluse domandandoci fino a dove si sarebbe spinto questo delirio di onnipotenza della celere in servizio al “Bentegodi”.
Purtroppo, la risposta non tardò ad arrivare, anzi tutt'altro. Infatti, dopo il turno infrasettimanale, a Verona è di scena il Brescia, per una sfida molto sentita tra due tifoserie da sempre nemiche che non hanno mai esitato a cercare il confronto fisico dandosele di santa ragione. Quello che successe alla stazione nel post-partita, una partita “insolitamente” calma sugli spalti, è purtroppo tanto cronaca, quanto storia, la solita storia, di quelle che quando qualche portavoce delle forze di polizia (stra) parla producendo un'apoteosi di vittimismo, non cita mai e non perché non ne sia a conoscenza: una gestione scellerata dell'ordine pubblico, cariche selvagge e a freddo, lacrimogeni come se piovesse, uso di spray urticante, un ragazzo, Paolo Scaroni, colpevole solo di essere un ultras, letteralmente massacrato e costretto a due mesi di coma da cui uscirà, ma invalido al 100%, otto poliziotti rinviati a giudizio, naturalmente tutti assolti e, oltre al danno la beffa, il riconoscimento di una pensione di invalidità di nientepopodimenoche 280 euro.
Ricordo ancora perfettamente quella nebulosa di pensieri che provai non appena appresi la notizia: solo pochi giorni prima in una situazione analoga mi trovavo io col mio gruppo e se magari fossimo stati più numerosi saremmo stati percepiti nello stesso modo dei bresciani e al posto di Paolo potevo esserci io, o uno dei miei amici, o magari gli avellinesi della partita precedente. Ricordo la solidarietà incondizionata, di tutto il movimento ultras nazionale (che all'epoca si cimentava nell'ultimo reale tentativo di trovare una posizione univoca contro la repressione e la commercializzazione del calcio): poco importa che all'epoca lui appartenesse ad una tifoseria gemellata alla mia, avrebbe potuto appartenere anche ai nostri peggiori nemici, ma non sarebbe cambiato nulla; non era il colore della sciarpa ad aver generato quella vile aggressione, ma l'appartenere a una di quelle categorie (all'epoca) di ribelli difficilmente controllabili.
E poi, lo sdegno per tutti gli improvvisati opinionisti ben pensanti che si esibivano in una serie di affermazioni tanto spregevoli quanto conformi alla versione di regime; il biasimo dei miei parenti, che mi vedevano come la pecora nera della famiglia che frequenta solo ambienti a rischio e “disonorevoli”, mentre avrei dovuto frequentare ambienti normali, più socialmente accettabili, e sicuramente non avrei avuto problemi.
Peccato per loro, che queste tesi furono confutate poco dopo 24 ore, quando cominciò a trapelare la notizia che a Ferrara, un diciottenne di nome Federico, al ritorno da una festa, perse la vita durante una normale operazione di fermo, che evidentemente tanto normale non era...
Sono passati dieci anni dalla vicenda di Paolo e da quella di Aldro e verosimilmente qualsiasi lettore di questo blog sa quante calunnie sono state dette in merito, e quanto è stato duro e tortuoso l'iter per arrivare a conoscere la verità: se ci fossero stati i numeri identificativi, così come in gran parte dei paesi civili a cui l'opinione pubblica si rivolge quando le fa più comodo, i colpevoli del pestaggio di Paolo avrebbero pagato! Ma questa è una verità che in fin dai conti non ha fatto altro che aumentare la nostra rabbia e l’odio nei confronti di un sistema immutabile che ha l’arroganza di auto assolversi a suo piacimento e, senza voler fare un elenco che finirebbe quasi per essere riduttivo e spersonalizzante, gli abusi di potere da parte delle forze dell'ordine allo stadio, nelle strade e nelle conferenze stampa, sono aumentati in modo esponenziale, restando pressoché impuniti, ma anzi ricevono la piena copertura da parte delle istituzioni, che addirittura rilanciano varando norme liberticide pronte a criminalizzare il dissenso sociale.
Da allora, sebbene le curve degli stadi abbiano perso la loro carica propulsiva, la battaglia contro gli abusi in divisa è progredita notevolmente, grazie anche alla nascita di associazioni specifiche che hanno portato alla luce vari casi analoghi, se non più gravi, a dimostrazione che la tesi delle mele marce non regge, e forse sarebbe più opportuno parlare di interi frutteti avariati. Tuttavia, nonostante questi apporti importanti, la situazione non sembra affatto migliorare e avendo provato varie volte la repressione e i trattamenti "democratici" della polizia sulla mia pelle, non so quanto senso abbia ripetere la formula "aspettiamo giustizia", ma quello di cui sono sicuro è che non possiamo fare altro che continuare a lottare per fare venire a galla queste storie cercando di far cambiare qualcosa dal basso, dalle coscienze dei singoli cittadini per fare sentire il fiato dei controllati sul collo dei controllori, per fare in modo di non doverci trovare più a scrivere post simili!
Giuseppe Ranieri