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Il calcio femminile sempre più sul piede di guerra

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Che il mondo del calcio (e in generale quello dello sport) non fosse proprio il terreno più progressista all'interno del nostro paese era cosa assodata da tempo. Anzi nessun discreto osservatore faticherebbe a rintracciare al suo interno i prodromi di quella cultura conservatrice, machista e reazionaria, caratteristiche del periodo fascista e con cui si pensava di aver chiuso i conti alla fine del secondo conflitto mondiale, e che invece proprio in questi specifici rivoli della società vedeva l'annidarsi di forme di resistenza al progresso culturale e sociale. Dalla dinastia Lauro fino a Ciarrapico, passando per Franco Carraro, senza dover scomodare gli esempi più inflazionati, visto che, purtroppo, sono molteplici i casi elencabili.

Quello che invece non molti sanno è che sembra essere esplosa una vera e propria guerra tra le alte gerarchie del calcio nazionale ed il movimento di calcio femminile che al momento sembra lontana dalla conclusione.

 

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l'esposizione di uno striscione da parte delle calciatrici del Brescia e del Verona, prima della partite che le vedeva impegnate per l'assegnazione della Supercoppa italiana lo scorso 26 settembre in quel di Castiglione delle Stiviere (in provincia di Mantova) e terminata con la vittoria ai rigori delle lombarde dopo lo 0-0 nei 90 minuti regolamentari.

Non essendo stato concordato con gli organi federali e quindi senza essere stato autorizzato dagli stessi, questo gesto è costato l'ammonizione per tutte e 22 le giocatrici titolari delle due squadre (tant'è che due calciatrici dopo aver ricevuto un cartellino giallo durante la partita sono state direttamente espulse) più un'ammenda pecuniaria di, udite udite, 50 euro (!!!).

Lo striscione recitava: "Ci sono punti da conquistare che valgono più di quelli in classifica", quindi nessun intento offensivo o discriminatorio. Anzi a ben vedere la vera discriminazione è quella a cui cercava di ribattere questo messaggio, cioè quella nei confronti delle donne all'interno dell'universo pallonaro che toccò il culmine nell'ormai tristemente famosa affermazione dell'allora presidente della Lega Nazionale Dilettanti, Felice Belloli, sulle calciatrici "Basta soldi a queste quattro lesbiche", frase che gli costò la sfiducia e il conseguente sollevamento dalla carica, oltre che, ironia della sorte, il biasimo del suo predecessore, quel Carlo Tavecchio diventato nel frattempo presidente della FIGC e desideroso di rifarsi una verginità dopo lo scivolone di Opti Pobà e dimentico di quando in piena campagna elettorale nel maggio del 2014 ammise che le donne nel calcio erano sempre state considerate come handicappate. È proprio vero che in Italia la memoria è altamente selettiva e basta un colpo di spugna per resettare tutto...

In ogni caso, quanto accaduto nella finale di Supercoppa non è il primo caso di "insubordinazione"; già nella finale di Coppa Italia disputata ad Abano Terme (in provincia di Padova) tra Brescia e Tavagnacco, disputatasi, tra l'altro, in un campo in condizioni vergognose, addirittura con l'erba alta; le giocatrici rifiutarono la premiazione proprio per protestare contro le frasi di Belloli, ma in quell'occasione non fu applicato nessun provvedimento.

A prendere le difese delle calciatrici è sceso in campo Damiano Tommasi, presidente dell'AIC che ha definito "disarmante" l'atteggiamento degli organi federali.

A ben vedere, la Lega ha applicato il regolamento in maniera ineccepibile, e fin qui poco da obiettare, ma la cosa che fa riflettere è che, come spesso succede in Italia, non solo nello sport, si è ligi al regolamento solo nei confronti dei più deboli. Infatti faticheremmo a pensare una tale severità se un episodio simile fosse accaduto in una partita di analogo valore di calcio maschile.

Nonostante sia nato, all'interno della FIGC, un Comitato Calcio donne agli inizi di settembre per dare dignità e il giusto riconoscimento alle giocatrici, la battaglia è ancora agli inizi e si preannuncia a dir poco impervia.

Come sportpopolare.it non possiamo che manifestare la nostra solidarietà alle calciatrici colpite dalla sanzione, ma più in generale dalla discriminazione e ci auguriamo che siano tutti i segmenti dello sport popolare ad abbracciare questa vertenza così come già si fa per quelle riguardanti, ad esempio, i calciatori richiedenti asilo o per quella dei cartellini dei calciatori minorenni, perché è nostro dovere provare a partire dal piccolo per scardinare questi modi di pensare vetusti, da dove ci viene più vicino, per poi provare, nel macro, a realizzare quel mondo che ci immaginiamo.



Giuseppe Ranieri

 

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Scritto da Giuseppe Ranieri
Categoria: Prima pagina
Pubblicato: 05 Ottobre 2015
  • Calcio
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