Niente da fare, non ce la fanno proprio a stare qualche mese senza fare “impicci”. E quindi ecco servito un nuovo scandalo che scuote le alte sfere del calcio nostrano: stavolta l'inchiesta riguarda una turbativa d'asta sull'acquisto dei diritti tv per il periodo 2015-18, e l'ostacolo all'attività degli organi di vigilanza riguardo ai bilanci di Bari e Genoa. In breve, questa l'accusa dei PM: la società di intermediazione finanziaria Infront avrebbe turbato le aste per i diritti tv per favorire Mediaset, violando i canoni di trasparenza e leale concorrenza. Inoltre la stessa Infront avrebbe versato fondi neri a Genoa e Bari per permettere loro di superare senza problemi i controlli della Covisoc ed iscriversi “regolarmente” ai rispettivi campionati. Ma cos'è esattamente questa Infront? Per molti aspetti, essa è il simbolo perfetto del “calcio moderno”: una società finanziaria fondata qualche anno fa da manager molto vicini a Mediaset, sia allora che oggi. Attualmente ricopre il ruolo di advisor della Lega Calcio per i diritti tv, e allo stesso tempo partecipa alla gestione del marketing di Milan, Lazio, Genoa, Sampdoria, con rapporti più sporadici anche con altri club, tra cui il Bari.
Inutile parlare di conflitto d'interessi in un paese come l'Italia. Anzi, questi interessi, invece che in conflitto, sembrano essere messi a profitto: ci guadagna Infront, ci guadagna Mediaset (ma ci rimette Sky, infatti guarda caso poi parte l'inchiesta), ci guadagnano grossi personaggi del nostro calcio come Galliani, Lotito (che conferma di non voler essere estraneo a nessuno scandalo del nostro calcio, è proprio una cosa a cui tiene), Preziosi e Ferrero; chi è amico di Infront e si trova in difficoltà economiche non dovrà temere il fallimento, arriveranno soldi sporchi per salvare piazze appetitose dal punto di vista del bacino d'utenza e quindi dei guadagni televisivi.
Vi ricordate le intercettazioni di Lotito terrorizzato dall'idea di vedere piccole squadre provinciali in serie A? Non lo faceva certo per difendere il blasone dei grandi club della tradizione italiana, ma per una becera questione di denaro, e non ci voleva certo un genio per capirlo: bacino d'utenza grande, incassi televisivi grandi. Meglio il Bari del Carpi, semplice. Il fatto fece scalpore e, forse anche per questo, la corsa di Carpi e Frosinone verso la serie A non fu più intralciata. Ma i padroni del nostro calcio non sono semplici teppistelli, sono criminali incalliti, e per nulla al mondo rinuncerebbero ai loro ruoli di distributori e gestori di denaro e privilegi. Come vediamo con gli scandali di questi giorni, le loro manacce sono ancora ben salde sopra i campionati. Casi come questi servono anche a portare alla luce protagonisti assoluti di queste trame che di solito rimangono nell'ombra, come Infront: qua lo scandalo non è che Infront si sia “comportata male”, lo scandalo è che Infront esista, o quanto meno che abbia un simile ruolo nel mondo del calcio. Per quale motivo una società di faccendieri e intermediari dagli stipendi a sei zeri dovrebbe occuparsi dei campionati e condizionarli in modo così pesante? Il fatto che in alcuni casi si comporti in modo illegale è un dettaglio, il problema è proprio alla radice.
Tutta questa vicenda si lega all'altra patata bollente del nostro calcio (e non solo): gli stadi vuoti, il caro biglietti e la repressione. Mentre questi signori banchettano come avvoltoi, ai tifosi la vita è resa sempre più impossibile: in Premier League si è scatenata una protesta molto estesa contro il caro-biglietti, e sarebbe auspicabile mutuarla anche in Italia. Nel frattempo c'è il grottesco caso dello Stadio Olimpico, con le curve spezzettate e le multe per chi si scambia il posto, e la possibilità sempre più concreta di uno sciopero del tifo nel derby dell'8 novembre, segnale che sarebbe di grande peso. Perché gli stadi mezzi vuoti, specie in partite di cartello, rovinano anche lo spettacolo televisivo: si iniziano a sentire anche nelle tv mainstream commentatori che lamentano questa situazione e auspicano un ritorno agli stadi pieni, proprio loro che campano alla grande grazie a quelle tv che stanno uccidendo il calcio. Ma forse nel solco di questa contraddizione è opportuno scavare per ottenere qualche vittoria, e lo sciopero in occasione del derby potrebbe essere un tassello importante. Dicono in tv che gli stadi belli sono quelli tedeschi, pieni e con un tifo infernale: rispondiamogli che lì un biglietto costa spesso 15-20 euro anche per i big match. In Inghilterra anche i giornalisti delle pay-tv hanno dovuto parlare della protesta contro il caro-biglietti, e comincia a mostrare qualche crepa il tanto decantato modello inglese: se il tuo pubblico è fatto solo di borghesi (gli unici, o quasi, a potersi permettere il biglietto), sarà inutile, silenzioso e noioso. Non fa scontri, ma fa schifo. Dicono che rivogliono i nostri stadi pieni, rispondiamogli che se lo vogliono, devono smetterla con impicci e scandali che spengono la passione; che un biglietto nel settore popolare non può costare più di 20 euro neanche contro il Real Madrid; che se vogliono rumore e colore allo stadio devono accettare anche un po' di sana turbolenza, e non possono diffidare per un fumogeno o fare la multa per il cambio posto. Non possono avere la botte piena e la moglie ubriaca: se vogliono mantenere i profitti delle tv e un'artificiale pace sociale, si beccano gli stadi tristi, vuoti e noiosi. Altrimenti cambiano rotta.
Matthias Moretti