Il Centro Storico Lebowski è senza dubbio una delle realtà più vive e attive del panorama dello sport popolare italiano, una di quelle che fungono anche da modello e ispirazione per chi continua a intraprendere percorsi di liberazione dello sport dalle logiche di profitto e di mercato. In un periodo in cui la squadra maschile sta lottando per i massimi obiettivi della propria storia, vicenda che vi racconteremo fra qualche settimana una volta arrivati alla conclusione, venerdì scorso abbiamo avuto la possibilità di discutere con l’ambiente grigionero di un altro tema importantissimo: il calcio femminile, le sue problematiche e le prospettive per un suo sviluppo che non sia schiacciato sulle medesime logiche di profitto, ma su un processo di crescita reale, diffusa e sociale. Nello spazio che è da sempre la casa delle iniziative targate Lebowski, il Centro Popolare Autogestito Fi-Sud, vari interventi hanno sviscerato gli aspetti critici del calcio femminile di oggi e le possibilità che si aprono con lo sviluppo di progetti autorganizzati.
Con imperdonabile ritardo volevamo dire due parole su questo blog sulla bellissima giornata del 7 Aprile sul Monte Tancia.
Questa escursione resistente organizzata da alcune realtà sociali romane (SCUP, Spartaco e La Torre) sotto l'egida dell'APE (associazione proletari escursionisti) ci ha lasciato una sensazione e un'energia positiva che ci portiamo ancora dentro. E nel loro nono anniversario della passeggiata, la perseveranza e l'organizzazione di tanti ha fatto si che un centinaio di persone, in un'allegra comunità viandante abbia attraversato gli stessi itinerari che 74 anni fa la Banda Stalin-D'Ercole vissero e difesero fino alla morte dall'invasore nazifascista; la storia della Battaglia del Tancia è stata ben descritta da Sasà Bentivegna e ne riportiamo qui uno stralcio:
Solitamente, prima di fare una recensione di un libro o di una rivista, faccio un piccolo schema in cui da un lato metto i pregi, i punti di forza e dall'altro i punti deboli.
Ecco, in questo specifico caso mi è stato quasi impossibile riempire il secondo campo, perché il nuovo numero di "Uno-due", dedicato all'identità e alla sua costruzione nel calcio, non solo scorre via in maniera leggera lungo tutti i suoi diciannove articoli (grazie anche alla più che piacevole veste grafica che accompagna il lettore), ma soprattutto riesce a stabilire quel connubio tra calcio e cultura, compito a cui anche la stragrande maggioranza del giornalismo di settore ha abdicato preferendo rifugiarsi in partigianerie di comodo a metà strada tra "il tifoso" e "l'amico del procuratore di turno".
Non è scritto da nessuna parte è vero, ma sicuramente uno dei lasciti più significativi di una squadra per poter dire di aver fatto epoca deriva anche da quanti suoi calciatori, una volta attaccati gli scarpini al chiodo, intraprendano la carriera da allenatore, possibilmente di successo.
Il Milan berlusconiano, soprattutto nel primo decennio, ha davvero rivoluzionato il concetto di calcio e infatti a distanza di anni diversi dei suoi maggiori interpreti sono diventati allenatori di successo capaci di alzare la Champions League, come Ancelotti e Rijkaard, altri hanno allenato nazionali di primo piano come Donadoni e Van Basten, e diversi altri che magari non hanno avuto degli acuti significativi nella loro seconda vita (come Gullit) o che si sono destreggiati nei settori giovanili come Evani e Franco Baresi.