Da circa 600 giorni la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, che insieme compongono lo stato di Palestina, sono sotto attacco quotidiano da parte dell’esercito di Tel Aviv. I sionisti stanno compiendo un vero e proprio genocidio in quelle terre, contro la popolazione locale e le infrastrutture di base, per rispondere all’azione di Hamas del 7 ottobre 2023 in cui 1200 cittadini israeliani hanno perso la vita e circa 250 sono stati presi in ostaggio.
Da quella data si contano più di 50 mila morti tra la popolazione gazawi, di cui un gran numero è rappresentato da donne e bambini, ma anche la distruzione sistematica di ogni tipo di supporto per rendere la piccola lingua di terra al confine con l’Egitto praticamente invivibile per i palestinesi. Al contempo a ogni ente internazionale, che avrebbe il permesso di entrare nella Striscia per portare aiuti umanitari alla popolazione, non viene concesso il lasciapassare, lasciando persone di ogni età e genere a morire di fame fra le strade di Gaza.
A poche ore dalla proclamazione del futuro o della futura presidente degli USA, con le elezioni americane che entrano nell’ultimo miglio, sembra utile riflettere su un aspetto peculiare della campagna elettorale di Trump: quello relativo al ruolo degli sport da combattimento. Una riflessione che su queste pagine proviamo a portare avantialmeno dal 2019.
Il prossimo 7 ottobre sarà passato un anno dall’inizio della guerra a Gaza condotta dal governo di Tel Aviv. L’operazione dell’esercito sionista, che sta attuando un vero e proprio genocidio, non ha risparmiato niente e nessuno.
Oltre ai più di 40 mila morti palestinesi lasciati sul campo, i soldati israeliani stanno distruggendo anche numerose strutture fondamentali per una sopravvivenza della popolazione di Gaza e della Cisgiordania. Dalle condutture per l’approvvigionamento dell’acqua potabile fino alle autostrade, passando per gli ospedali che così non hanno la possibilità di prestare soccorso ai numerosi civili feriti, la terra di Palestina sta subendo una vera e propria distruzione a 360 gradi.
Tutto è cominciato con la cerimonia di apertura. Con la follia e le accuse di blasfemia. Poi è stato il turno dei messaggi subliminali sui costumi delle nuotatrici che si sono rivelati fotomontaggi. Ora l’esplosione della “questione gender”, che altro non è che delirio trans-omofobico di proporzioni gigantesche. Una grande confusione sotto il cielo che si dimostra perfetto terreno di coltura per la più becera propaganda.
Ad alzare i toni della polemica, a fare rumore, account social di politici e giornalisti di area conservatrice e di estrema destra, soprattutto statunitensi, che sembrano scaldare i motori in una prova generale per l’assalto trumpiano alla Casa Bianca. Poi la solita tempesta perfetta: bufale che circolano per giorni sottotraccia, fino a diffondersi, per poi gonfiarsi ed esplodere senza controllo. Un meccanismo studiato ad arte che si ripete da anni e che ben conosce chi si occupa di questione migratoria.
A Roma ci sono alcune figure che, in un modo o nell’altro, rappresentano il romanismo nella sua assenza. La più grande, anche se per questioni anagrafiche non ho mai avuto il piacere di veder giocare, è stato Agostino di Bartolomei, di cui il prossimo 30 maggio cadrà il 30esimo anniversario dalla tragica morte.
Altro personaggio che si può descrivere come esempio di vero e proprio romanismo è Claudio Ranieri che, poche ore fa, ha annunciato il suo addio definitivo al mondo del calcio. Il tecnico testaccino, alla veneranda età di 73 anni, ha portato a termine la sua ultima impresa: la permanenza del Cagliari nel massimo campionato di calcio anche per il prossimo anno.
Un punto di vista differente sui fatti di stretta attualità sportiva e sociale.
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