Probabilmente ci vorrà ancora un po' di tempo per comprendere pienamente la portata storica degli eventi che, partendo dalla “bolla” di Disney World in cui si stanno disputando i play-off di NBA, hanno avuta una ricaduta a cascata su tutto lo sport statunitense, ma è indubbio che quanto sta accadendo sia destinato a segnare uno spartiacque non solo nel mondo agonistico, ma anche all’interno della società statunitense e di tutti i suoi molteplici osservatori sparsi in ogni angolo del globo, con buona pace dei nostri quotidiani sportivi nazionali che ormai sembrano propendere per una linea editoriale a metà strada tra il gossip e il fantamercato.
Si fa un gran parlare in queste settimane della ripresa o meno dei campionati, non solo in Italia ma in tutto il calcio europeo e oltre. Tra protocolli sanitari arzigogolati e poco credibili e pressioni dettate da esigenze di business, si va verso una ripresa con gli stadi a porte chiuse e con l'incognita che da un giorno all'altro potrebbe di nuovo fermarsi tutto, se il virus dovesse decidere di tornare a farsi vivo in modo minaccioso.
In questo contesto stanno girando anche le prese di posizione degli ultras: c'è un comunicato firmato da centinaia di gruppi a livello europeo, ci sono altri comunicati e volantini più individuali e collaterali di singoli gruppi o singole città, ma sostanzialmente tutti sullo stesso tono. Il calcio senza gli spalti affollati dai tifosi non dovrebbe riprendere. Lineare, giusto, ineccepibile.
Poco più di un anno fa ci trovavamo a tirare le somme di quella che è stata la stagione più trionfale finora per tutto il movimento del calcio popolare (con ben 7 campionati vinti nel calcio maschile, due campionati femminili e uno di calcio a cinque) che coincideva con uno dei momenti più tristi e depressi per il calcio italiano, culminato nell’inopinata esclusione della nostra nazionale dai Mondiali russi e da grottesche discussioni, o sarebbe meglio dire aspri contraddittori, a mezzo tv (rigorosamente a pagamento) tra gli esteti e gli utilitaristi del calcio, col discorso che inevitabilmente andava a premiare chi vince, perché “chi vince ha sempre ragione”, come alla fine funziona ovunque ed emerge anche dalle ultime elezioni europee.
Il “limite”, questa era la parola d’ordine dell’edizione del 2018 di Logos – La festa della parola, uno degli eventi culturali indipendenti e antagonisti più importanti nella Capitale. E con immenso piacere abbiamo contribuito a costruire il dibattito che è andato in scena sabato pomeriggio, in cui si è cercato di calare il concetto di “limite” nella realtà attuale dello sport popolare. E il tema per la verità capitava a fagiolo, perché la questione più importante e complicata che molte realtà si stanno trovando ad affrontare in questi anni è proprio quella della sostenibilità economica, della conciliazione tra l’ottenimento dei risultati sportivi e il mantenimento di un modello organizzativo non solo diverso ma rivoluzionario. Insomma, è proprio a questo livello che si incontrano i limiti, e occorre attrezzarsi per affrontarli e superarli. L’incontro è stato ricco di interventi, da quelli programmati di Centro Storico Lebowski, Atletico San Lorenzo, Lokomotiv Prenestino (i padroni di casa dell’Ex Snia), San Precario (contributo video) e Lokomotiv Flegrea (via telefono), a quelli che si sono aggiunti, specie di realtà nate da meno tempo come Zona Orientale Rugby Salerno e Borgata Gordiani, e del Comitato di quartiere della Certosa.