Sarebbe retorico affermare quanto fosse esatta l'intuizione di quei gruppi che all'epoca si riconoscevano dietro la sigla “Movimento Ultras”, quando quindici anni or sono partorirono il messaggio: “Leggi speciali, oggi per gli ultrà, domani per tutta la città”. In fin dei conti ciò non servì a risolvere il problema (vuoi perché i tempi erano immaturi per uscire dal classico “celodurismo” ultras, vuoi per una critica troppo parziale che non riusciva a collegare il calcio ad altri ambiti sensibili di ristrutturazione della nostra società, magari anche perché non trovavano una sponda nei compagni che in questi stessi ambiti si muovevano quotidianamente), anzi ciò ebbe l'effetto collaterale di far percepire alle menti più avanzate, minuto per minuto e abuso dopo abuso, la consapevolezza di stare vivendo sulla propria pelle la lunga agonia di quello che innegabilmente è stato il fenomeno giovanile di massa più imponente dell'ultimo trentennio.
Non ci interessa unirci al coro delle vedove di Berdini, visto che ci sembra già abbastanza affollato, ma quelle dichiarazioni dell'ormai ex assessore, secondo cui “mentre le periferie sprofondano in un degrado senza fine e aumenta l’emergenza abitativa, l’unica preoccupazione sembra essere lo stadio della Roma”, che di fatto corrispondono al “De Profundis” del suo impegno nella giunta pentastellata, non potevano non stimolare in noi diverse riflessioni. D'altronde se uno dei principali pregi della comunità che siamo riusciti a tirare su tutti insieme in questo breve tempo è quello di essere conoscibili e riconoscibili nei percorsi di lotta e di conflittualità che viviamo, gran parte dei nostri lettori potrà immaginare quanto ci sta a cuore la questione abitativa e il progressivo quanto inarrestabile depauperamento delle nostre periferie che ha come unico e concreto risultato la loro trasformazione in polveriere in attesa di qualcuno in grado di saperle maneggiare a proprio piacimento in nome di interessi che non saranno di certo quelli della collettività.
“In una splendida cornice di pubblico che ci ha regalato un “Ahmed bin Ali Stadium” tutto esaurito rendendo Doha ancora più bella di quanto non lo sia normalmente, stanno per scendere in campo le squadre che si affronteranno per la finale di Supercoppa: i vincitori dell'ultimo campionato scenderanno in campo in divisa bianconera, mentre i loro sfidanti che hanno conquistato il diritto a disputare questa finale indosseranno la consueta casacca rossonera. Adesso è tutto pronto! Godiamoci in pace questo attesissimo match tra Al-Rayyan e Qatar Sport Club!”
Ecco, al netto delle differenze cromatiche delle divise: siccome uno degli argomenti forti dei propugnatori del calcio moderno è che i sentimenti andrebbero messi da parte in nome della logica, non ci sarebbe niente di più logico che a disputare un incontro di calcio destinato ad assegnare un trofeo nazionale per club in Qatar, fossero due squadre qatariote.
Anche noi ci siamo lasciati sedurre dalla maratona elettorale in quello che sembrava a tutti gli effetti una partita di calcio, più precisamente uno di quegli scontri diretti per evitare la retrocessione a metà primavera, in cui l'importante era principalmente non perdere, pena la scomparsa, da un lato dell'esperienza governativa (una delle più sciagurate dell'Italia repubblicana) e dall'altro, quello che in mezo a tanti “compagni di viaggio” a dir poco scomodi e fastidiosi potremmo comunque riconoscere come “il nostro”, di quel briciolo di agibilità sociale e politica che difendiamo ancora con le unghie e con i denti giorno per giorno, aspettando momenti migliori per ripartire in contropiede e segnare punti a nostro vantaggio.