La verità – che parolone! – è che il calcio mainstream fa talmente schifo che quando sulla scena si presenta un personaggio come il sor Sarri: un signore di mezza età con lo stile dell’habitué del bar dello sport e non un fotomodello mancato olezzante lacca e silicone; quando a poggiare il culo sulla panchina è uno che non ha fatto differenza tra campi di terra malamente battuta e grandi platee televisive e che ha affrontato un percorso estraneo al riprodursi incestuoso tipico delle élite (sportive, economiche e politiche non fa nessuna differenza); quando a impossessarsi del prime time, delle prime pagine dei giornali e, magari, anche del campionato è un tipo che, addirittura, è in odore di comunismo… beh, ci mancava soltanto che Sarri avesse scelto di tenere corsi di antisessismo all’università per conferirgli il premio Lenin e, a questo punto riconciliati con l’orrore della mercificazione imperante, per rimettersi in tutta tranquillità le ciabatte per passare i pomeriggi della nostra breve vita davanti a Sky.
Sono stati davvero tanti gli spunti di riflessione usciti dallʼassemblea romana del 5 gennaio, finalmente molto partecipata sia nei numeri che nella voglia di mettere carne al fuoco. Nel pieno dellʼespansione del cosiddetto “calcio popolare”, i nodi tematici da affrontare sono tantissimi, e senza dubbio si continuerà a farlo in modo collettivo, a partire da questʼestate nelle giornate previste a Napoli. Dopo aver fatto un resoconto il più possibile oggettivo delle discussioni avvenute nellʼassemblea di Roma, proviamo adesso a dare una nostra lettura almeno riguardo ad alcuni aspetti dello sviluppo dei progetti del calcio popolare. Una lettura che va intesa assolutamente come un umile contributo da appassionati di calcio e da compagni che credono nellʼautorganizzazione. Del resto il nostro sito vuole essere proprio questo: un qualcosa in più, un luogo virtuale in cui dare spazio ad esperienze che ci piacciono e ci esaltano. Non certo un “organo ufficiale”, perché per elaborare strategie, campagne e battaglie esiste una sola modalità: quella collettiva.
Com'era facilmente prevedibile, l'ondata di commozione succeduta ai brutali attentati dello scorso 13 novembre a Parigi ha fatto serrare i ranghi alla comunità francese, la quale ha deciso di rispondere con una grande affermazione di fermezza e orgoglio nazionale che ovviamente, e non poteva essere altrimenti, ha investito anche lo sport. Avevamo già accennato che uno dei primissimi provvedimenti adottati dal Ministro dello sport francese Thierry Braillard insieme a Noël Le Graët, presidente della Federazione calcistica francese, la Fédération Française de Football (FFF), era stato quello di vietare le trasferte ai tifosi per motivi di sicurezza, oltre che annullare le partite previste nella regione circostante Parigi, l'Île de France. Inoltre, in tutta Europa, in segno di solidarietà, sarebbe stata intonata la “Marsigliese” prima dei vari incontri che si sarebbero disputati nel passato weekend. Sin da quando queste misure sono state disposte, l'obiettivo del mondo sportivo francese, ma forse più in generale di buona parte dell'opinione pubblica transalpina, era focalizzato sullo stadio “Armande Cesari” di Bastia, conosciuto altresì come “Stade Furiani” che avrebbe ospitato un derby della Corsica, vale a dire il match tra la squadra locale, lo Sporting-Club Bastia e l'Ajaccio Gazélec (la seconda squadra della cittadina corsa, benché quest'anno si trovi in una categoria superiore rispetto ai cugini dell'Ajaccio), che mancava da ben ventidue anni.
È passata una settimana scarsa dai terribili attentati di Parigi e le prime conseguenze sono state tanto prevedibili quanto pessime: nuovi bombardamenti in Medio Oriente su zone densamente abitate da civili, allarmismi paranoici in tutta Europa, restrizioni già arrivate o quanto meno annunciate alla nostra libertà personale in nome della sicurezza e della lotta al terrorismo, il bisogno di identificare tout court il nemico nel diverso, in chiunque si richiami alla religione musulmana o che non voglia salire sul carro di questa nuova crociata, come già fu dopo l'11 settembre. Insomma, uno scenario che ha molto poco da invidiare a quelli prefigurati da Alan Moore in “V for Vendetta” o da Orwell in “1984”, in cui in nome della democrazia, questa stessa viene sospesa fino a data da destinarsi. Non è questa la sede per approfondite analisi politiche sulle guerre contemporanee e le dinamiche di potere a livello internazionale, ma alcune riflessioni sono d'obbligo, visto che amare lo sport non può significare considerarlo un compartimento stagno, un settore staccato dal mondo che lo circonda.