Del risultato sul campo poco c'importava. A tutti, nel senso che mai come in questo caso l'attenzione degli ultras, ma in generale dei tifosi ancora legati alla passione per il calcio visto allo stadio, era concentrata soprattutto su cosa sarebbe accaduto fuori dall'Olimpico. Di solito le turbolenze a Piazza Mancini, Ponte Duca d'Aosta o Ponte Milvio riguardano quella parte di derby che si gioca tra le fazioni più accese delle due tifoserie. Stavolta l'attesa era invece tutta rivolta a come si sarebbe concluso il braccio di ferro tra il Prefetto Gabrielli e le due tifoserie capitoline, per l'occasione “unite nella lotta”: nei mesi scorsi, come sappiamo, l'Olimpico è tornato ad essere laboratorio di repressione e intimidazione nei confronti di chi vive ancora il tifo come uno spazio in cui i comportamenti si autodeterminano. Non che molti dei comportamenti presenti e passati dei gruppi organizzati di Roma e Lazio siano da difendere o da rivendicare, anzi tutt'altro. Ma non è questo il punto. Il punto è difendere il concetto di autonomia di uno spazio come la curva: non vogliamo stadi in cui sei costretto a stare seduto, a sventolare solo la bandierina ufficiale del club con tanto di logo pubblicitario, a restare incollato al tuo seggiolino, ché se vai a salutare un amico un po' più in là rischi la multa per “cambio posto”. Il tutto al modico prezzo di 50 euro o giù di lì. E le barriere montate nelle due curve, così come le multe e i Daspo che fioccano per i motivi più surreali, sono un chiaro segnale di un modello autoritario che si impone, fingendo anche di essere paterno e sorridente, come si sforza di essere il Sig. Gabrielli nella sua recita dello “sbirro fermo ma ragionevole”: recita che porta in giro già da un po' di tempo, accompagnandola con manganellate, idranti e arresti contro chiunque si opponga, anche solo timidamente e pacificamente, al suo modello retrogrado di città. E probabilmente il Signor Prefetto sognava di vedere di nuovo in azione idranti, manganelli e poi manette, come del resto aveva promesso alla vigilia: “Se ci sarà ribellione, spazzerò via il movimento ultras da Roma”, ma “se i tifosi si comporteranno come dico io per un annetto, forse, e dico forse, l'anno prossimo potremmo anche rimuovere le barriere”. La sintesi del significato di “autoritarismo”: ti darò lo zuccherino solo se mi leccherai la mano.
Nella Roma degli sgomberi e della repressione dura del dissenso, targata Prefetto Gabrielli, non sono solo studenti e occupanti di casa a risentirne. Negli ultimi due mesi nell’occhio del ciclone del dibattito, almeno capitolino, c’è anche la chiusura/diserzione della Curva Sud , lo storico settore del tifo giallorosso. I tifosi della Roma, come gli altri del resto, sono anni che vengono vessati con ogni forma di provvedimento repressivo e restrittivo. Dando fede a una rapida ma indicativa cronologia si può affermare che: dal biglietto nominale si è passati ai tornelli, da questi si è arrivati alla tessera del tifoso. Da quest’ultima a pratiche quali il “super D.A.S.P.O.” – interdizione dal frequentare gli stadi per 8 anni – oppure al “D.A.S.P.O di gruppo”, il passo è breve.
Nel giro di pochi anni sono stati repressi i comportamenti quotidiani diffusi all’interno degli stadi. La storia degli ultimi due anni della Curva Sud parla però una lingua differente, poiché nessun altro settore ha vissuto l’attacco che tocca oggi a noi tifosi della Roma. La data spartiacque è una, il 3 maggio del 2014, il giorno in cui un tifoso della Roma spara, ferendo mortalmente un supporter del Napoli, Ciro Esposito. È il fatto che serve per dare un’ulteriore sterzata alle operazioni contro i tifosi, ma per tutti gli esperimenti serve sempre una cavia dalla quale iniziare. Questo criceto da laboratorio ha un nome: Curva Sud che per tanti anni, tempi che chi scrive non può ricordare, è stata il fiore all’occhiello del movimento ultras italiano. Uno dei settori più popolati d’Europa: 17.000 spettatori e una capacità di mobilitazione in trasferta da far invidia alle spedizioni militari di Napoleone.
Niente da fare, non ce la fanno proprio a stare qualche mese senza fare “impicci”. E quindi ecco servito un nuovo scandalo che scuote le alte sfere del calcio nostrano: stavolta l'inchiesta riguarda una turbativa d'asta sull'acquisto dei diritti tv per il periodo 2015-18, e l'ostacolo all'attività degli organi di vigilanza riguardo ai bilanci di Bari e Genoa. In breve, questa l'accusa dei PM: la società di intermediazione finanziaria Infront avrebbe turbato le aste per i diritti tv per favorire Mediaset, violando i canoni di trasparenza e leale concorrenza. Inoltre la stessa Infront avrebbe versato fondi neri a Genoa e Bari per permettere loro di superare senza problemi i controlli della Covisoc ed iscriversi “regolarmente” ai rispettivi campionati. Ma cos'è esattamente questa Infront? Per molti aspetti, essa è il simbolo perfetto del “calcio moderno”: una società finanziaria fondata qualche anno fa da manager molto vicini a Mediaset, sia allora che oggi. Attualmente ricopre il ruolo di advisor della Lega Calcio per i diritti tv, e allo stesso tempo partecipa alla gestione del marketing di Milan, Lazio, Genoa, Sampdoria, con rapporti più sporadici anche con altri club, tra cui il Bari.
Il punto di domanda è d’obbligo considerando come sarà soltanto la realtà ad esprimere la misura e la direzione che assumeranno i fermenti sociali, in Italia come altrove. Di certo, di fronte alla feroce repressione da cui è stato attaccato negli ultimi anni, il movimento ultrà, al di là delle difficoltà – o delle possibilità – insite nell’esprimersi nei suoi confronti in termini unitari, ha spesso condensato la sua esigenza di vendetta nello slogan: «Ci togliete dagli stadi, ci ritroverete nelle strade».
Si tratterebbe, a ben vedere, di una sorta di “ritorno alle origini”. Non accadde, infatti, nel corso degli anni Settanta, che una fetta di popolo, spesso schierata a sinistra, iniziasse a trasferire nelle curve valori, nomi, cori e colori tratti direttamente dall’esperienza dell’antagonismo di classe?
E allo stesso modo, non è forse vero che con il passare del tempo pezzi importanti di sinistra salottiera e borghese iniziarono a stigmatizzare gli ultrà, delegittimando e isolando le radici popolari del movimento, fino a consegnare alla destra diversi stadi italiani?