La Ufc (Ultimate Fighting Championship) è considerata la più importante promotion mondiale di Mma (Mixed martial arts). Milioni di telespettatori, un giro d’affari con cifre spaventose e un livello tecnico superiore a qualsiasi altro competitor, oltre che un calendario di eventi senza uguali. L’architetto di questo successo e attuale presidente della promotion è Dana White, un sostenitore di Trump della prima ora che in più occasioni ha offerto la passarella al presidente degli Stati Uniti, facendo da cassa di risonanza alle sue idee e offrendo un discreto bacino di consenso durante la campagna elettorale presidenziale. Più di recente però, alcuni siparietti divertenti hanno trasformato quello che poteva essere percepito come un feudo del presidente in un campo minato per la propaganda trumpiana.
Uno dei fatti più eclatanti del week end sportivo è stato senza dubbio la presa di posizione del calciatore dell’Arsenal Mesut Özil tramite i propri profili twitter e instagram, riguardo al trattamento riservato dalla Repubblica Popolare Cinese nei confronti della minoranza uigura, un’etnia turcofona di religione musulmana dello XinJang (o come lo definisce il calciatore usando il nome dato dagli stessi uiguri alla regione, Turkestan orientale).
Nel 2017 gli spot trasmessi durante il Super Bowl sono costati agli sponsor locali 175.000$ al secondo. Feste private in cui sono stati consumati 1,33 miliardi di ali di pollo e quasi 30 milioni di fette di pizza soltanto da Domino’s e Pizza Hut, oltre a 2,4 miliardi di dollari in alcool. Combinando questi numeri con gli stratosferici prezzi dei biglietti, ogni osservatore ragionevole concluderebbe che il Super Bowl rappresenta il consumismo capitalista ai suoi massimi livelli.
I conservatori nell’ambito del gioco hanno sostenuto con orgoglio che il football forma gli spettatori in queste virtù capitaliste. Jack Kemp, quarterback diventato membro del Congresso, ha celebrato il football come «capitalismo democratico» in azione; Fran Tarkenton, che ha fatto di se stesso un business e ha pubblicato tre libri all'età di 30 anni, ha definito il gioco «parte del nostro sistema di impresa libera».
Quello della Frazione Calcistica Dal Pozzo è sicuramente un caso del tutto particolare nel panorama dei progetti “popolari” italiani. La prima cosa che anni fa, quando scoprii la loro esistenza, mi colpì fu quello che pensai essere un riferimento al mai abbastanza elogiato Q dei Wu Ming (allora Luther Blissett), e al suo protagonista Gert Dal Pozzo. Con quest’ultimo del resto la ciurma gialloverde condivide il destino di una vita passata a sfidare l’ordine del mondo, a sovvertire la legge del più forte con ogni mezzo necessario. Non avevo immaginato che invece la denominazione avesse una semplicissima origine geografica: Dal Pozzo è il loro paese, anche se poi la squadra e la tifoseria sono composte da persone provenienti da tutto il circondario. Poche centinaia di anime al bordo della città di Saronno, hinterland nord-occidentale di Milano: un caso unico in effetti, la Frazione Calcistica non rappresenta una grande città o un suo quartiere, o una media città di provincia, ma per l’appunto una piccola frazione, in una zona dove le mappe sono punteggiate in modo fitto da piccoli centri intervallati da campi e zone industriali, con la metropoli milanese sempre lì che incombe, ma ancora non ti fagocita.