Bassi, Lega, via! Per chi non ne fosse pratico sono i tempi d’ingaggio della mischia nel gioco del rugby. Per chi invece il sabato o la domenica varca quei campi, vestendo i numeri dall’1 al 9, questi riecheggiano nella mente come ritmi vitali. Il rugby è uno sport fantastico in grado anche di assumere le dimensioni di una scuola di vita oltre che temprare il fisico: il concetto di “raggiungere un obiettivo attraverso il rispetto, la fiducia e il sostegno reciproco di ognuno dei tuoi 14 compagni di squadra” ridà, seppur in minima parte, un senso solidaristico e umano a quella che è la concezione di comunità e di quotidianità nella fredda e cinica società in cui viviamo oggi.
Al di là della fastidiosa retorica mediatica targata Sky o pagine facebook “delinquenziali”, che rovina spesso anche le cose belle, l'FA Cup è una competizione che regala emozioni uniche. La sua formula aperta alle scalate da parte delle squadre delle serie inferiori genera un torneo bellissimo, amatissimo dalla popolazione calciofila e che, tra l'altro, garantisce anche grandi ascolti alle tv. Insomma, sembrerebbe convenire a tutti. In Italia, con la consueta ottusità dei dirigenti federali, attualmente abbiamo la Coppa Italia più elitaria e noiosa che ci sia mai stata: agli ottavi di finale entrano le 8 teste di serie e giocano una partita secca in casa, uccidendo nel 90% dei casi le ambizioni di chiunque.
Un vecchio adagio recita “Se Atene piange, Sparta non ride”. Dovendo declinare il proverbio alla attuale situazione della Madrid del pallone, andrebbe aggiunta anche Tebe, oppure Corinto. Infatti, per motivi differenti tra loro, le tre anime della capitale spagnola hanno subito degli smacchi dalle proprie società che, semmai ce ne fosse stato davvero ulteriormente bisogno, le hanno fatte sbattere di fronte alle ultime frontiere del calcio moderno. Il caso sicuramente più fresco è quello che ha visto per protagonisti i Bukaneros del Rayo Vallekano, la tifoseria espressione di Vallekas, il quartiere ribelle e operaio di Madrid sviluppatosi grazie all'afflusso dell'immigrazione interna, prevalentemente andalusa, e che da sempre propaga e difende i valori dell'antifascismo e della solidarietà internazionale.
Nonostante tutti gli sforzi, è sicuramente innegabile che la Coppa d'Africa non abbia lo stesso appeal delle omologhe competizioni di Europa e Sud America e non potrebbe essere altrimenti. Da un lato per quella atavica disorganizzazione che attanaglia il continente nero, soprattutto se alle prese coi grandi eventi in cui, tanto per fare un esempio, è possibile dimenticarsi la chiavetta coi file degli inni nazionali delle squadre che avrebbero inaugurato il torneo (quindi anche la formazione di casa), e dall'altra perché, almeno fino a pochi decenni fa, le uniche squadre africane che riuscivamo a vedere e conoscere erano quelle qualificate ai mondiali e al pari di quelle asiatiche (salvo rare eccezioni) erano destinate al ruolo di cenerentole dei propri gironi, ma a differenza delle altre riuscivano ad accalappiarsi maggiori simpatie.