“Nessuno si salva da solo”. E il calcio può rappresentare anche il riprendere in mano la propria vita, prima di ritrovare la libertà oltre le sbarre. È questa la storia dell’ASD Polisportiva Pallaalpiede, una squadra di calcio nata nel 2014 all’interno della casa di reclusione “Due Palazzi” di Padova e che costituisce un esempio unico a livello nazionale di squadra regolarmente iscritta a un campionato di Terza Categoria della FIGC.
La Polisportiva, che ha conquistato per quattro stagioni di fila la “Coppa disciplina” e ha vinto nel 2019 il campionato di Terza Categoria (girone C), ha avuto risonanza mediatica attraverso il documentario di impegno civile intitolato Tutto il mondo fuori, diretto dal regista Ignazio Oliva e andato in onda il 13 maggio 2020 sul canale 9. Il docufilm, le cui riprese sono terminate poco prima del lockdown imposto dall’emergenza sanitaria, ripercorre le storie di tre detenuti del carcere di Padova che, attraverso i progetti formativi e l’inserimento lavorativo, hanno avuto un’occasione di recupero e di rinascita. Troppo spesso la vita quotidiana dentro gli istituti carcerari è caratterizzata da storie di degrado, vessazioni e compressione dei diritti della persona, mentre in questa Comunità, modello avanzato nella gestione penitenziaria, si vuole dare voce ai racconti dei detenuti e dei loro familiari, degli agenti, del cappellano e degli educatori, in un’ottica di speranza.
L'immensa crisi sociale ed economica che ha colpito il paese a seguito del dramma coronavirus riguarda tutti gli ambiti, compreso quello sportivo.
Per tante società trovare i fondi per affrontare la prossima stagione appare notevolmente complicato. Molte squadre rischiano di veder venire meno le proprie fonti di finanziamento a livello sia di proprietà che di sponsor, viste le difficoltà a cui molte aziende andranno incontro, e anche riguardo all’organizzazione delle attività di autofinanziamento che solitamente riempiono l’estate. Il presidente della Lnd parla addirittura della possibilità che scompaia una società su tre.
Non v’è ombra di dubbio che i tanti appassionati di quel calcio che non è solo mainstream, gossip e freddi dati ma che al contrario mantiene un quid di passionalità e un elevato tasso simbolico, avevano già cerchiato in rosso la data del 18 aprile, giorno designato per una storica finale di Coppa del Re che quest’anno sarebbe stato un affare prettamente basco, vale a dire il derby tra l’Athletic Bilbao e la Real Sociedad.
Infatti pur non trattandosi di un unicum, perché a ben vedere un derby era già avvenuto ben centodieci anni fa quando nel 1910 l’Athletic si impose per una rete a zero sul Vasconia, società progenitrice della Real Sociedad, si tratta sicuramente di un evento storico.
Ritrovandoci a vivere nella nostra epoca è inevitabile pensare alle associazioni dei calciatori come un pulpito attraverso il quale giocatori impomatati e strapagati hanno un’ulteriore possibilità di pontificare, mettersi in mostra ed esporre le proprie rivendicazioni, a volte legittime e miranti alla tutela di quelli meno affermati e tutelati, altre volte del tutto incomprensibili a chi guadagna cifre infinitamente minori e vive la propria vita scandita dai sacrifici per ottenere ogni minimo traguardo. Al di là di situazioni limite, probabilmente buona parte di questa seconda casistica deriva anche dalla diversa percezione che abbiamo al giorno d’oggi sul ruolo delle forze sindacali, e a quella che la stragrande maggioranza di noi giudica, nel migliore dei casi, la loro degenerazione.
Eppure, la storia della sindacalizzazione dei calciatori nei vari contesti delle principali leghe europee ha degli sviluppi molto interessanti e direttamente collegati alle vicende storiche dei periodi in questione.