Daniele De Rossi abita dove lavoro io. Lo incrocio, lo guardo, lo seguo con spietata riverenza e un dolcissimo stalkeraggio. Sono talmente impietrito di fronte a lui che in tanti anni non ho ancora avuto il coraggio di rivolgergli la parola e chiedergli un banale selfie, o un po' più romantico autografo. Diversamente i miei colleghi fanno incetta di sorrisoni e godono di quella gentilezza cavalleresca di cui l’uomo De Rossi è ampiamente dotato.
Forse vederlo mi ricorda il mio passato da calciatore nelle giovanili, mi ricorda i derby giocati e vinti, mi ricorda il suo lungo caschetto biondo, il nove sulle spalle, la sua tecnica, il suo ruolo di attaccante. Mi ricorda un'altra èra di felicità per me, e forse anche per lui. Una cosa che mi ricordo con molta precisione è che in campo era coattello, tignoso, c’era qualcosa di indefinito, sembrava vagasse furente senza scopo, sportellava con tutti.
Bello, semplicemente bello. La recensione del nuovo lavoro di Francesco Berlingieri, Pallone, Asfalto e Betoniere, si potrebbe chiudere qui.
Mi capita raramente di “divorare” un libro: il mio lavoro, i tempi di vita non mi hanno mai permesso di stare su un libro come si deve. In questo caso però la curiosità, il fatto di capire cosa ci avrebbe raccontato nel capitolo successivo ma sopratutto di rivivere in quelle pagine la tua vita, ha fatto sì che in poche ore, pagina dopo pagina questo fantastico libro fosse assaporato e gustato come un buon piatto di tortellini (eh lo so, sono modenese, i riferimenti sono questi).
Ricordi di un ragazzino di appena undici anni, quelli dell’Europeo del 1992, mai giocato dalla nazionale Jugoslava. Un salone di uno dei tanti hotel di Creta: davanti allo schermo si guardava la finale di quell’edizione vinta poi da una squadra colorata di bianco e rosso, ripescata causa esclusione della rappresentativa con la stella rossa. Uno dei ricordi più nitidi che ho parlando di Jugoslavia. Ricordi di un ragazzino che non poteva sapere e immaginare – anche se la parola guerra riecheggiava – del massacro fratricida che si stava consumando in quelle terre.
Quella squadra fantasma era composta da una generazione di fenomeni provenienti da tutte le Repubbliche federali; una generazione d’oro, tanto da farla soprannominare il “Brasile d’Europa”. Una generazione che alla pari del sistema cestistico (altro vanto Jugoslavo), portò all’apice il sistema calcio, soprattutto con le squadre di club. Su tutte la gloriosa Crvena Zvezda, la Stella Rossa, che proprio nell’anno dello scioglimento della Federazione porterà sul tetto d’Europa – migliorando il risultato dei rivali del Partizan – e del mondo il calcio dei Balcani, anche se qualcuno pensava già che quella vittoria non fosse Jugoslava, ma Serba.
Notturno jugoslavo. Romanzo di una generazione, scritto a quattro mani da Emanuele Giulianelli e Paolo Frusca per i tipi diLes Flâneurs Edizioni, ci fa fare un salto nel passato di una delle più grandi nazioni del continente europeo. Attraverso la vita romanzata di Aca, e vere interviste ai protagonisti di questa storia, ci immergiamo nel mondo del calcio jugoslavo, riuscendo a ripercorrere l’ascesa e la dissoluzione politica, economica e sociale di un intero Paese, capace di tenere unite sotto la stella rossa del socialismo popolazioni con religioni, etnie, idiomi differenti.
Cosa succede quando i ribelli diventano una forza stabilizzatrice, quando il contropotere scende a patti col potere per ritagliarsi i propri spazi? C’è ancora la possibilità e l’opportunità di definirsi antisistemici? Suvvia, sono sicuro che nella nostra militanza politica o di curva questo tipo di interrogativi siano passati almeno per una volta nella mente di ognuno di noi. Ecco, probabilmente Puerta 7 è ciò che si avvicina di più a una tra le possibili risposte a tutti questi dubbi.
Ero molto curioso di vedere questa serie, sia per i pregevoli lavori realizzati in questi ultimi anni dal cinema sudamericano e sia perché affascinato dal tema delle barras argentine, che per molti aspetti rappresentano un alter ego rispetto all’impostazione “italo-centrica” dei classici gruppi ultras europei, già da prima che diverse curve del Belpaese ne scimmiottassero i cori o l’impostazione in curva. Certo, le differenze sono a tratti enormi, ma in fin dei conti esse riflettono tout-court quelle tra i due paesi.