Sono sincero, nonostante mi interessi di sport a tutto tondo, nel mio intimo amo gli sport di cui capisco la complessa architettura di regole e sudore ancorché riesco a immaginarne i sacrifici e le rinunce di chi lo pratica, in sintesi, nel mio caso, calcio e ciclismo.
Però magari un giorno ti ritrovi tra le mani un gran bel libro sulle vite, le fatiche, le lotte di due afroamericani di cui avevi visto la foto appesa in posti che solitamente frequenti, una foto di per sé così evocativa e ribelle. I pugni al cielo di Tommy Smith e John Carlos.
Il libro però andò al di là della foto e delle storie di razzismo imperante negli USA e mi fece conoscere uno sport su cui raramente mi ero soffermato per conoscerlo e apprezzarlo. L’atletica leggera, o meglio, la velocità. In particolare i 200 metri piani.
La continua ricerca della perfezione, l’allenamento marziale, la dedizione completa all’obiettivo. La solitudine. Di certo diverso, diversissimo da quella immagine di sport di squadra che io adoro e prediligo. Eppure la lettura di quel libro mi aveva suggestionato, un punto di vista così elettrizzante mi aveva folgorato.
La Storia con la S maiuscola, attraversata dalle mille storie, che pur sembrando incommensurabilmente più piccole e insignificanti, in realtà servono proprio a riempire di senso e di significati la Storia che si studia sui manuali. Di esempi di questo approccio alla materia se ne potrebbero fare molti, ma uno molto recente e di grande qualità è sicuramente Cuori partigiani. La storia dei calciatori professionisti nella Resistenza italiana, firmato da Edoardo Molinelli e pubblicato da Red Star Press – Hellnation Libri.
Una raccolta di diciassette storie, frutto di una mirabile attività di studio e di ricerca d’archivio, che gettano luce su quel periodo così importante assumendo il punto di vista di chi molto spesso è lontano dagli avvenimenti della politica e chiuso nella sua quotidianità di sportivo. Anche se in misura minore rispetto agli eccessi a cui siamo abituati oggi, già allora un calciatore professionista era un personaggio poco portato a cimentarsi con tali temi, quello che gli si richiedeva era giocare a palla e per il resto fare meno clamore possibile. Durante il fascismo poi, il conformismo e la sottomissione erano sia diffusi che, da un certo punto di vista, anche consigliabili. Ma la Storia può far ingresso nella vita delle persone in mille modi diversi, e il periodo della Resistenza non fece eccezione, anzi, tutto il contrario.
Non esiste alcuna figura in campo sportivo, e in particolare in quello calcistico, che riesca a esaltare quel romanticismo, quel misticismo di cui è carica la figura del portiere. Storie di uomini veri, eccentrici, fissatisi, nel bene o nel male, nell’immaginario popolare, odiati, amati, esorcizzati.
Wilson, giornalista, scrittore sportivo, direttore del magazine trimestrale The Blizzard, con il suo Il portiere. Vite di numeri uno (titolo originale Outsider, Isbn edizioni, 2013), ci regala un libro che ripercorre, quasi come in un romanzo epico, le vicende dei più grandi interpreti di questo ruolo dagli albori del calcio fino ai nostri giorni. E lo fa intrecciando specificità tecniche e storie personali e sportive, al netto dell’umanità intrinsecamente solitaria dell’uomo con l’Uno sulle spalle.
Non è, o non è solo, un libro per addetti ai lavori, ma un libro che rende in qualche modo giustizia a una specificità sportiva che si è continuamente evoluta nei primi centocinquanta anni del calcio secondo un percorso non sempre lineare, ma tortuoso e pieno di contraddizioni.
Abbiamo visto i nostri demolire uno stand che vendeva wurstel e rovesciare un grill a carbonella. L’intero accrocco è bruciato come una torcia sovradimensionata dentro lo stadio dell’Amicizia semibuio. Io e Kai siamo rimasti spalla a spalla a incitare il fuoco, con la luce delle fiamme che si riverberava sui nostri denti scoperti, mentre Tomek e Hinkel e Toller e mio zio si sono messi a tirare pugni ai poliziotti. Quelli li picchiavano con i manganelli, ma loro mica indietreggiavano. Anche se avevano solo le mani, si difendevano con quelle. Io e Kai ci siamo guardati e lui ha pensato la stessa cosa che ho pensato io, e abbiamo giurato entrambi che anche noi non saremmo mai indietreggiati e che un giorno saremmo stati lì con loro. In primissima fila. E abbiamo sigillato il nostro giuramento dandoci il cinque. Philipp Winkler, Hool (66thand2nd, 2018)
Hool, romanzo di esordio di Philipp Winkler (classe 1986), scrittore cresciuto nei sobborghi di Hannover, è stato tra i libri finalisti al Deutscher Buchpreis, il più importante premio letterario tedesco, e ha vinto il ZDF-aspekte-Literaturpreis 2016.