Gli All Reds Rugby di Roma sono una realtà consolidata del panorama sportivo popolare nostrano. Nati nel 2004 all'interno del centro sociale Acrobax, in questi quasi 15 anni la polisportiva, comprendente anche una squadra di basket, si è fatta conoscere in vari modi: dalla partecipazione alle manifestazioni cittadine fino agli eventi organizzati “ad hoc” in diverse occasioni. Quello che mancava, oramai, era solamente un film sugli All Reds. A tutto questo ha pensato Claudio Carbone con il lungometraggio “Rosso Vivo”.
La pellicola, girata grazie a due semplici camere Nikon, ci restituisce una visione molto intima degli All Reds. La scena iniziale ad esempio, girata all'interno dello spogliatoio prima di un semplice allenamento, ci trasmette, a parere di chi scrive, quelli che sono gli ideali del mondo dello sport popolare: passione e socialità.
Ricorre proprio in questi giorni la settimana mondiale dedicata alla salute mentale, e mi son sentita di scrivere qualche parola su di un libro che ho letto recentemente e che ha attirato la mia attenzione, e che colpisce particolarmente già fin dalla copertina, perché “La trappola del fuorigioco” (Edizioni Alpha Beta, 2017) è si un libro che parla di calcio, ma soprattutto è inserito in una collana a cui sono particolarmente legata, “La collana 180 - archivio critico sulla salute mentale” e ancor più accattivante è il connubio fascinoso, che l’autore individua, con un altro gran tema: il comunismo.
Mi son chiesta da subito: come fa l’autore, Carlo Miccio, a “mettere in campo” queste tre tematiche?
La risposta mi arriva automaticamente a fine lettura, una lettura che si presenta nonostante tutto leggera, perché chi scrive affronta questi temi caparbiamente, con una modalità sapiente e giocosa, andando incontro con uno schema fluido e mai scontato agli attacchi e contrattacchi che la vita, intesa come degno avversario, a volte può offrire.
Una volta ho letto una sua intervista e alla domanda su quali sport preferisse, lui ha risposto che solo il calcio, il ciclismo e il pugilato avevano quell’epicità che li contraddistingue da tutti gli altri.
Molti ne contesteranno la veridicità ma io apprezzai molto quella risposta.
Probabilmente perché gioco a calcio, avevo un nonno pugile e un padre ciclista dilettante. Chissà.
Fatto sta che Marco Ballestracci, amico e narratore di sport (e di vita), ha fatto breccia nei nostri cuori.
Di lui e dei suoi racconti sul calcio abbiamo già scritto e apprezzato, abbiamo organizzato una presentazione e lo spettacolo “La storia più dura del mondo”, ma ci mancava ancora tutto un altro Marco, il Ballestracci che scrive di ciclismo.
Che di calcio (e di portieri) ne capisse e che ne sapesse raccontare le gesta, le contraddizioni, il fervore si era già capito ma leggere il suo 1961 ci ha dato una dimensione più completa della sua capacità.
Per chi ha intorno ai 30 anni o poco più, i Balcani rappresentano una terra piena di fascino e inquietudine, così vicina geograficamente ma così lontana, per quelli che erano i nostri occhi di bambini nei primi anni ’90, per via delle terribili immagini di guerra che per anni continuavano ad arrivare con cadenza quotidiana. Per chi poi è particolarmente appassionato di storia e politica, queste regioni rappresentano delle autentiche miniere d’oro: millenni di conquiste, invasioni e guerre, ma anche di sviluppo costante delle popolazioni autoctone, hanno generato un mix di lingue, culture, religioni, forme politiche che ha pochi eguali al mondo. Stringendo lo sguardo sui paesi dell’ex Yugoslavia, l’impressione che rimane, circondata da un alone di malinconia, è che l’unico modo per valorizzare questo complicatissimo mix e farlo non solo sopravvivere, ma diventare modello positivo, fosse la Federazione di stampo socialista che per circa un quarantennio ha garantito pace, giustizia sociale e un certo benessere. Questa esperienza è stata poi distrutta e annegata nel sangue, per far prevalere interessi nazionali particolaristici, alle dirette dipendenze degli interessi delle grandi potenze europee e degli USA. Poco prima delle guerre yugoslave, nel resto dell’Est Europa erano crollati i governi comunisti, inaugurando una stagione di democrazia formale e di capitalismo di mercato che ancora adesso continua a mostrare mille crepe e ad approfondire le disuguaglianze.