Napoli, 27 giugno 1971, stadio San Paolo ore (più o meno) 18.40.
Dall’emittente radiofonica nazionale, il sempre troppo poco compianto Sandro Ciotti informava i radioascoltatori che al termine di una trama di gioco sulla fascia sinistra orchestrata da Braca – entrato grazie a un’intuizione di Mister Seghedoni una decina di minuti prima per lo stremato Ciannameo per quello che era l’unico cambio consentito per i giocatori di movimento – Franzon e Gori, che era riuscita a rompere l’assedio biancorosso, quest’ultimo crossava velenosamente la palla in area dove Angelo Mammì anticipava il portiere Spalazzi depositando la palla in rete, portando non solo il Catanzaro, ma l’intera Calabria e probabilmente anche l’universo concettuale del calcio di provincia del Sud in Serie A, dopo altri dieci minuti che ai presenti e a tutti coloro che avevano a cuore le sorti dei giallorossi sembrarono un’immensità.
Il 22 febbraio 1980 veniva ucciso Valerio Verbano, giovane militante dell'Autonomia Operaia. Questo ragazzo di neanche 19 anni, che avrebbe compiuto il 25 febbraio seguente, fu freddato da un colpo di pistola alla schiena nella sua casa di via Monte Bianco 114, nel quartiere Montesacro di Roma. Per quanto tuttora manchi una verità giudiziaria, si è sempre parlato a ragione di un vero e proprio omicidio pianificato di sicura matrice fascista, riconducibile ad appartenenti alla galassia neofascista capitolina del tempo. Valerio infatti, per riprendere le parole del padre Sardo, era un “loro nemico giurato” che militava a tempo pieno nell'ambito antifascista militante romano. Purtroppo, però, non si riuscì mai a dare una vera svolta alle indagini. Difatti ancora oggi, a più di 40 anni di distanza da quel giorno, non è stato trovato un vero e chiaro colpevole per quell'omicidio.
Provengo da una famiglia integralmente milanista, a tal punto che mio fratello, nato nel passaggio di consegne dal Milan di Sacchi a quello di Capello, si chiama Marco e non per caso. Uno dei più nitidi ricordi che ho della mia infanzia è la delusione dei miei parenti all’epilogo del campionato 1989-90, quello della “Fatal Verona bis”, per intenderci quella in cui l’arbitro Lo Bello fece il bello e il cattivo tempo determinando le sorti dell’intero campionato. Se a ciò si aggiunge che alle elementari il mio principale antagonista era Carlo, un ragazzino originario di Salerno tifosissimo del Napoli, forse si può comprendere come fino a un’età adolescenziale il mio sentimento nei confronti di Maradona fosse di ostilità e ben sintetizzabile nel coro ripetevo istintivamente quando lo vedevo in Tv; lo stesso che accompagnò gli ultras milanisti, all’epoca nel loro periodo ruggente, al seguito della squadra nella vittoria che consegnò a Sacchi lo scudetto del 1988 e al mondo una squadra che sarebbe entrata nella storia: “Guarda le bandiere, Maradona sono rossonere”, che faceva il verso alla famosa frase di Diego che per quel match non voleva vedere bandiere del Milan al San Paolo.
Poche ore fa è morto il grande attore e comico romano Gigi Proietti. Nato a Roma il 2 novembre 1940 e, fatalità del destino, spirato nel giorno del suo ottantesimo compleanno a causa di alcuni problemi cardiaci che lo avevano portato al ricovero in terapia intensiva in una clinica romana.
La carriera di questa personalità ha spaziato in vari ambiti: dalla televisione al cinema, famosa la sua interpretazione nella pellicolaFebbre da Cavallo, ma soprattutto il teatro. Grazie a lui, e alla sua direzione del teatro Globe Theatre di Roma, molta gente ha cominciato ad apprezzare un artista e drammaturgo del calibro di William Shakespeare.