Altissimo, dal look senza dubbio irriverente, maglia numero 33 dei Lakers e occhialoni da vista con le lenti gialle che lo hanno proiettato, insieme al suo immenso talento, nella storia della NBA come icona di stile e gioco. Questo è Kareem Abdul Jabbar. Con 38.387 punti è il primo realizzatore nella storia di questo sport, considerato come uno dei mostri sacri del basket. Classe 1947, proveniente da New York, la sua è stata una vita caratterizzata dalle grandi scosse del movimento per i diritti civili. La sua personalità fu molto influenzata dal movimento del Rinascimento Harlem. Al basket arrivò al tempo del college “Power Memorial Academy” di Harlem, dove diede sfoggio del suo immenso talento e condusse la squadra a vincere per tre anni consecutivi il campionato“New York City Catholic”. Il ragazzo era un talento portentoso: alla titanica altezza (2.18) unì una statuaria struttura fisica e una forza muscolare incredibile. Finito il liceo il giovane scelse la UCLA (University of California, Los Angeles) e nel giro di pochi anni portò l’ateneo ai vertici dello sport studentesco.
Per tutta la sua vita Smokin Joe Frazier è stato identificato come la nemesi di Muhammad Alì. Questa però è sempre stata un'immagine molto restrittiva per un grande campione come lui. Smokin Joe fu un pugile iconico, un grande personaggio fuori dal ring, che cantava il blues e scriveva poesie. Al contrario di Muhammad Alì, che era una super star sempre coi riflettori puntati addosso, Frazier tenne sempre lontana la sua vita pubblica da quella sportiva e raramente faceva sparate grosse in conferenza stampa. Per tutta la sua carriera agonistica non si inimicò mai i mass media e mai una volta aprì una polemica verso il governo statunitense. Una scelta che non dipendeva dal fatto che a Joe non importasse dei temi civili ma perché lo sport e la sua vita privata nel suo ragionamento dovevano essere due cose distinte. Su questo punto, nonostante la grande amicizia che legava i due pugili, Muhammad Alì denigrò spesso Frazier nelle conferenze stampa definendolo “lo zio Tom dei bianchi”. Eppure Joe Frazier, al contrario di Alì che proveniva da una famiglia piccolo-borghese, aveva conosciuto la povertà e la segregazione razziale del profondo Sud. Questo fu un punto che forse Joe non perdonò mai al suo amico/rivale, il non aver capito che lui non era il nero assoggettato ai bianchi come pensava lui.
Se dovessi scegliere una colonna sonora per rappresentare questa partita, sceglierei l’Estasi dell’oro del maestro Ennio Morricone. Una canzone ricca di epica per una partita che ebbe tutti i sapori dell’epicità della mitologia antica. La nazionale italiana che il ct Ferruccio Valcareggi, allenatore di lungo corso, aveva costruito era pressoché completa in ogni reparto. Una cosa che per quel mondiale dava tanta fiducia agli italiani era che in attacco c’era l’uomo simbolo del primo scudetto della storia del Cagliari: Rombo di tuono Gigi Riva. Insieme a Riva c’erano anche leggende come Tarcisio Burgnich, Enrico Albertosi, Domeneghini, Picchio De Sisti, Bonimba Boninsegna, il Golden Boy Gianni Rivera, Sandro Mazzola e Giacinto Facchetti. Proprio Rivera e Mazzola, giocatori simbolo rispettivamente uno del Milan e l’altro dell’Inter, furono quelli che vissero le polemiche più accese verso la nazionale. Per loro quello fu il mondiale della staffetta.
La storia di Jim Braddock è il classico esempio della tenacia che riesce a piegare un destino già segnato. Braddock era nato a New York il 7 giugno 1905, nel quartiere popolare di Hell’s Kitchen, neanche a farlo apposta a pochi passi dal Madison Square Garden, tempio della boxe statunitense. Braddock era figlio di quella marea irlandese che investì il continente americano nel periodo delle grandi migrazioni verso gli States. La sua era una famiglia cattolica, classico irlandese, e assai povera. Il ragazzo crebbe per strada a fantasticare di poter frequentare un giorno l'Università di Notre Dame e il suo primo sogno sportivo era quello di giocare a football. Ma l’estrema povertà della famiglia, molto numerosa, portò il ragazzo precocemente nel mondo del lavoro. Proprio in questi anni conobbe il pugilato e se ne innamorò. Così cominciò a cimentarsi nella nobile arte e durante la sua carriera dilettantistica arrivò a vincere il campionato di boxe del New Jersey. A 21 anni il giovane Braddock divenne professionista. Il ragazzo era forte e in soli tre anni arrivò ad avere uno score di tutto rispetto: 34 incontri vinti (21 per KO), 5 sconfitte e 7 pareggi.