«Nun le manna a di’». Così si direbbe in dialetto romanesco di Michael Conlan, pugile professionista nato a Belfast classe ’91, campione fin da dilettante. Nel suo palmares ci sono un bronzo olimpico a Londra 2012 (cat. 52 kg), argento agli europei del 2013 a Minsk (cat. 52 kg), oro nei campionati del Commonwealth nel 2014 a Glasgow (cat. 56 kg), oro agli europei di Samokov nel 2015 (cat. 56 kg), oro ai campionati mondiali a Doha nel 2015 (cat. 56 kg). Insomma un piccolo fenomeno.
Il 12 febbraio 2019 è morto Gordon Banks, stroncato da un tumore all'età di 81 anni. È con estremo cordoglio che scrivo questo articolo, al di fuori della narrazione mainstream che ha ricordato il grande portiere inglese solo ed esclusivamente per il titolo assegnatogli ufficialmente dalla Fifa della “parata del secolo”.
Amando noi lo sport, da un punto di vista differente e popolare regaliamo un’altra visione dell’estremo difensore inglese. Con questo non vogliamo togliere nulla alla bellezza di quella parata che per sempre rimarrà impressa nei cuori di ogni tifoso per stile, storia ed importanza ma come sempre ci poniamo oltre alle generalizzazioni in assoluto.
Se un lascito questo grande sportivo ci ha donato si basa sicuramente su altri presupposti. In primis l’aver frantumato l’idea infausta che da sempre sottende alla nascita del calcio e del ruolo del portiere, quello del remissivo, solitario, e incongruente con le regole del gioco.
“Io li odio i nazisti dell'Illinois”. È probabilmente questa la battuta più famosa dell'attore americano John Adam Belushi, scomparso il 5 marzo 1982, a soli 33 anni, per un mix di cocaina ed eroina. Belushi era nato a Chicago, da una famiglia di origine albanese, il 24 gennaio 1949. E quindi, a conti fatti, proprio oggi avrebbe compiuto 70 anni. Questo attore viene ricordato per il suo innato talento comico, espresso a pieno durante la partecipazione al programma satirico “Satudary Night Live”. Anche le sue interpretazioni in film come “The Blues Brothers” o “Animal House” restano però memorabili nella mente di moltissime persone in tutto il mondo.
Il triplice fischio finale dell’arbitro svedese, il signor Erik Friedriksson, sancisce la fine della partita. Oltre 120 minuti di gioco, fra tempi regolamentari e supplementari, non sono bastati per decretare la squadra vincitrice della Coppa dei Campioni.
È il 30 Maggio 1984, le statistiche ufficiali parlano di circa 70.000 persone che gremiscono gli spalti dello Stadio Olimpico di Roma. La realtà è che in quello stadio le persone sono molte di più, la capienza massima è superata ampiamente, le tribune e le curve sono stipate oltre l’inverosimile. La città è ferma, come ipnotizzata, dal 25 aprile di quello stesso anno quando la Roma, battendo 3 a 0 il Dundee Utd e ribaltando così lo 0-2 dell’andata, ottiene il “pass” per giocare la finale della Coppa più importante al livello di club, per di più nel suo stadio.