Solitamente, quando si parla di calcio rivoluzionario, il pensiero vola automaticamente all'Ajax di Crujff, piuttosto che al Milan di Sacchi, oppure al Barcellona di Guardiola. Ebbene, l'accezione di calcio rivoluzionario sarà a breve rinnovata radicalmente da un altro team. Potrebbe essere tutto normale se non fosse che questo club giocherà nella seconda divisione del proprio campionato, quello colombiano. Si tratterebbe infatti della squadra delle FARC, questione dibattuta all'interno dei negoziati tra il governo colombiano e il movimento rivoluzionario. Lo scorso 31 marzo, infatti, sono state rese pubbliche alcune bozze del documento di sei pagine che sancisce gli accordi di pace raggiunti a Cartagena, in base ai quali, dopo 52 anni di guerra civile in Colombia, verrà messa la parola fine alla lotta armata e di conseguenza verranno “reinseriti” nella società colombiana oltre 7000 guerriglieri delle FARC, il movimento rivoluzionario comunista che per oltre mezzo secolo ha combattuto una guerra civile senza quartiere contro lo Stato colombiano e i suoi squadroni paramilitari diretta emanazione delle direttive di Washington, tanto quanto contro il sistema malavitoso, in quella che è la guerriglia più longeva del sub continente.
Valle Aurelia è un quartiere di Roma nord-ovest, a pochi chilometri dal Vaticano e dal suo Cupolone.
Da sempre contraddistinta dalle sue fornaci, che davano da lavorare a numerosi abitanti locali e che la facevano conoscere nel resto di Roma come “Valle dell'Inferno”, la zona è, ancora oggi, una delle più popolari della Capitale.
Lo stesso aggettivo “popolare” ha contraddistinto, negli anni passati, vari ambiti del quartiere e non ha risparmiato nemmeno quello calcistico. Un esempio in questo campo può essere quello della Stella Rossa, una squadra di calcio popolare creatasi a Valle Aurelia negli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale.
La Stella Rossa era la squadra del popolo dei valligiani, nominativo con cui erano chiamati gli abitanti della Valle. Una team sportivo che, a partire dal nome, portava avanti ideali politici ben precisi: quelli comunisti.
A 51 anni per qualcuno si è già sul viale del tramonto. Il cliché pretenderebbe addome voluminoso, rughe, abbigliamento giovanile e rimpianti.
Persino gli sportivi più longevi a quell’età diventano, nella migliore delle ipotesi, vecchie glorie da esibire come contorno a qualche evento sportivo in cui si ricordano i bei tempi andati e si celebrano gli eroi del passato, con tanto di pubblico intento in applausi rituali dal sapore nostalgico.
Eppure c’è un pugile che nella notte fra sabato e domenica 17-18 dicembre ha scritto un’indelebile pagina di storia della boxe. Senza volersi rassegnarsi al tempo che passa. E nonostante la dura sconfitta subita sul ring.
Non avendo molta dimestichezza col mondo del football americano, non ci è dato sapere se durante l'esecuzione dell'inno statunitense (usanza che oltreoceano introduce tutti gli eventi sportivi), prima del match di pre-season tra i San Francisco 49ers e i Green Bay Packers, Colin Kaepernick, quarterback dei 49ers fosse consapevole che non alzandosi insieme ai compagni per cantarlo in segno di solidarietà nei confronti della gente di colore e delle brutalità quotidiane che essa subisce dalla polizia, non solo avrebbe sollevato un vespaio di polemiche, ma avrebbe anche risvegliato dal suo torpore dorato il mondo dello sport professionistico americano.