Nel 1949, alla periferia della capitale libanese di Beirut, iniziò la costruzione del campo profughi di Shatila per dare un rifugio a migliaia di palestinesi in fuga dalla repressione sionista in Israele. Oggi, anche a causa dell'alto numero di rifugiati sfuggiti dalla guerra in Siria, circa 25.000 persone vivono in questo campo grande appena un chilometro quadrato.
In questo contesto undici ragazze tra i 15 e i 20 anni, nate e cresciute a Shatila, sono riuscite a conquistarsi il proprio spazio di libertà sul campo giocando a basket, grazie alla polisportiva Real Palestine Youth F.C. fondata da Captain Majdi, anche lui rifugiato palestinese. In un ambiente come quello di Shatila lo sport assume un ruolo fondamentale, aiutando gli adolescenti ad adottare uno stile di vita sano e positivo, fornendo loro gli strumenti necessari a prendere il controllo delle loro vite e incoraggiandoli ad analizzare con occhio critico le questioni sociali che li riguardano.
Era sin da quando fu preannunciata la sua uscita che aspettavo l’occasione adatta per vedere Istanbul United, e pur non essendo potuto andare all’Offside Film Festival per colpa del lavoro ho sottoscritto l’abbonamento in modo da poter vedere ugualmente questo docufilm, insieme ad altri prodotti di pregevole qualità. Senza alcun dubbio o tentennamento posso affermare che l’attesa non è stata delusa, il film infatti è l’ideale per chi è appassionato del mondo ultras e del suo corollario di scontri, delle proteste di piazza e di ogni loro potenziale intreccio.
Oggi sono 14 anni senza Federico Aldrovandi. La mattina del 25 settembre 2005 Aldro veniva massacrato da quattro poliziotti che gli provocarono 54 lesioni corporali «ciascuna delle quali suscettibile di autonomo procedimento penale» come scrissero i giudici durante il processo.
La tua, purtroppo, non è stata l’ultima di una lunga serie di morti quanto meno sospette, caro Aldro. Se i tuoi genitori, mamma Patrizia e papà Lino, non si fossero operati nel denunciare quanto pubblicamente accaduto probabilmente, al giorno d’oggi, il tuo sarebbe stato semplicemente un caso misterioso, in cui i sospetti di tutti non riescono a tramutarsi in certezze.
Ce n’eravamo già occupati l’anno scorso in occasione dei nostri approfondimenti speciali per i mondiali in Russia, auspicando un repentino cambiamento in grado di garantire l’accesso agli stadi per le donne iraniane, ma le cose stanno andando diversamente. Infatti, è notizia proprio di questi giorni che Sahar Khodayari, una ventinovenne attivista per i diritti delle donne, nonché tifosa dell’Esteghlal, uno dei club più prestigiosi del Paese persiano, è morta in seguito alle ustioni su oltre il 90% del suo corpo che si è procurata il primo di settembre gettandosi addosso una gran quantità di benzina. La tragedia è avvenuta davanti al tribunale di Teheran dove la donna era chiamata a difendersi dalle accuse nei suoi confronti di «insultare il pubblico sfidando il codice di abbigliamento per le donne» essendosi travestita da uomo (stratagemma diffuso tra le donne iraniane per poter entrare negli stadi) per poter assistere a una partita della sua squadra del cuore, l’Esteghlal, e per «aver partecipato a uno scontro fisico con le forze di sicurezza» avendo resistito all’arresto, ma più in generale per la sua opera di sensibilizzazione su questa situazione spinosa.