Per avvicinarci al festival dell'8-9 ottobre in ricordo di Valerio Marchi, pubblichiamo in questi giorni alcune sbobinature di interventi fatti in suo ricordo e nel nome delle controculture...continuiamo con Riccardo Pedrini.
PEDRINI: “Io volevo partire dall'inizio, da come e quando il punk-rock arrivò in Italia (allora si chiamava così...). La mia attività di scrittore e musicista è connessa in diversi ambiti a un gruppo, i Nabat, che sono stati importanti per lo sviluppo dell'OI! italiano, sono sempre stati molto legati agli skinhead come sottocultura, ma nascono in una temperie culturale in cui ancora gli skinhead non esistevano in Italia e nascono; all'origine anche i Nabat erano un gruppo puramente di Punk-rock. Steno aveva i capelli a spina, un giubbotto di pelle ecc. (Philopat se lo ricorda...). È interessante cercare di capire il contesto quotidiano in cui nasce il punk in Italia; e la prima cosa da dire è che il mondo da cui nasce il punk italiano è lontanissimo da quello dei giorni nostri. La fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80 sono davvero un altro pianeta da tantissimi punti di vista: innanzi tutto come situazione politica che c'era ancora. Immaginate che a Bologna, il partito tradizionale della classe operaia che era il PCI era sopra il 50% e la sua opposizione era un'opposizione di sinistra. Un paese completamente diverso da quello in cui viviamo adesso.
Per avvicinarci al festival dell'8-9 ottobre in ricordo di Valerio Marchi, pubblichiamo in questi giorni alcune sbobinature degli interventi fatti a Roma nel 2007, primo anniversario della sua scomparsa...cominciamo con Marco Philopat.
PHILOPAT: “Io ho scritto un articolo in questi giorni e l'ho voluto dedicare proprio a Valerio Marchi, perché secondo me se fosse stato ancora in vita, lui si sarebbe ricordato del cinquantesimo anniversario della rivolta di Genova, contro il Governo Tambroni e contro i fascisti, la famosa rivolta dei ragazzi con le magliette a strisce, quindi l'ho fatto dicendo “Visto che manca Valerio, spero di riuscire così a tappare un buco di questa scomparsa incredibile.” Una premessa su Valerio la volevo fare sul fatto che io, da quando sono piccolo, anche perché sono allievo di Primo Moroni che mi ha inculcato una teoria che lui ripeteva sempre e mi è rimasta impressa, che ci sono due università quella accademica normale e quella della strada che si equivalgono completamente, solo da un punto di vista si divaricano, perché se da una parte quella accademica c'è la faccenda meritocratica e gerarchica tipica dell'accademia, e quindi il grande professore è il vertice di una piramide, mentre invece nell'università della strada, soprattutto con coloro che capiscono che certe dinamiche, certi conflitti sia individuali che collettivi si basano sul rapporto fisico e dialettico, ma diretto, si capisce subito che non bisogna creare dei poteri, quando si tratta di condividere dei saperi.
- Ciao Paolo, innanzitutto vorrei chiedere come e quando ti sei avvicinato agli sport di lotta e in maniera più specifica al brazilian jiu jitsu ed al grappling?
Salve a voi, e grazie per l’intervista.
Ho iniziato a praticare Arti Marziali e Sport da Combattimento fin da piccolo, cominciando con lo Yoseikan Budo, Sanda e Kickboxing. La pratica del Jiu Jitsu Brasiliano (BJJ) e della Lotta Olimpica sono venuti quasi per caso, spinto dalla volontà di completare a 360 gradi le mie abilità marziali, e me ne sono innamorato, focalizzando il mio impegno quasi esclusivamente sulle discipline lottatorie.
- Cosa ti ha spinto a portare avanti questo lungo e duro percorso coronato anche da una serie di ottimi risultati sportivi?
La passione per il confronto e la dimensione ludica che sono sempre presenti nel Jiu Jitsu Brasiliano.
È inutile girarci intorno, con un titolo così accattivante la voglia di ritrovarmi questo libro (Hellnation Libri, 2016) tra le mani era enorme e devo dirlo sin dall'inizio, l'attesa e le aspettative riposte in questa lettura sono state ampiamente ripagate. Non perché sia effettivamente un "romanzo ultrà", poiché le vicende prettamente curvaiole vengono trattate incidentalmente (e in maniera molto matura e responsabile anche quando si citano “aneddoti specifici”, questo viene fatto senza citare le tifoserie coinvolte, rinunciando a quella tentazione di autoesaltazione e “celodurismo” che va tanto in voga nelle curve di questi tempi) quanto perché, pur non costituendo un corpus organico, come del resto ha ammesso lo stesso autore durante la presentazione dello scorso 2 luglio al Sally Brown, questa summa di racconti di vita vissuta illustra alla perfezione quello che dovrebbe essere l'approccio alla realtà da parte di quelli che erano una volta gli ultras prima che si facessero ammaliare dai selfie in posa e dalle camicette di marca scegliendo di fatto di privilegiare la forma rispetto alla sostanza.