Come se niente fosse, Gramellini lo scrive su «La Stampa». Prima di Icardi e della sua (a dir poco) discutibile biografia, nessuno sarebbe mai stato capace di riuscire nell’impresa di mettere un libro in mano a un ultrà. La risposta all’illustre (si fa per dire) giornalista la lasciamo alla penna di Francesco Berlingieri da Foggia. A noi resta un dubbio: ma saranno gli ultrà a non aver preso mai in mano un libro o la borghesia intellettuale – e classista – di questo paese a non ricordare più cosa significa assaporare l’impronta di un anfibio nel posto dove non batte il sole?
Pubblichiamo questa intervista agli Indar Gorri, il gruppo più caldo e schierato della tifoseria dell'Osasuna, fatta tramite amicizie comuni riguardo agli episodi repressivi che hanno colpito il gruppo alcuni mesi fa.
Potete spiegarci cosa è successo il 1 febbraio? Quali sono le accuse?
Ve lo raccontiamo: l'1 febbraio le diverse polizie spagnole (Policia Nacional e Guardia Civil) in maniera coordinata lanciano un'operazione repressiva contro Indar Gorri, la tifoseria più calda e più vigorosa del Club Atletico Osasuna, nella quale sono stati arrestati 18 membri del gruppo con l'accusa d'appartenenza a organizzazione criminale. L'accusa si basa sul fatto che i 18 membri del gruppo abbiano formato dentro IG un sottogruppo per organizzare delle risse e aggressioni contro dei gruppi ultrà rivali. L'operazione non si è concentrata solo a Iruñea, si è ampliata in tutta la regione di Nafarroa e, come poi abbiamo visto, la polizia ha tessuto un organigramma con delle cupole, direzioni, segmenti e sottogruppi. Nell'intero dossier poliziesco, in tutto il tempo in cui si sviluppano le loro indagini su cui si basa l'operazione, non riescono a dimostrare nessuno dei supposti reati che pretendono di imputarci, infatti i responsabili delle indagini constatano che non se n'è verificato nessuno... È una cosa assolutamente kafkiana.
Pubblichiamo l'ultimo stralcio di sbobinature di interventi in ricordo di Valerio Marchi, in avvicinamento al festival dell'8-9 ottobre...è il turno di Sego e Duka.
SEGO: “Benvenuti a tutte e tutti. Siamo qui in occasione del ricordo, della memoria, di un carissimo amico, un fratello che se n'è andato qualche tempo fa. Però non vorrei che fosse e non lo sarà - a me piace ricordare le persone quando nascono, non quando muoiono - una cosa fine a se stessa. A nome mio e di tutte quelle realtà che hanno organizzato questo evento ci tengo a dire che ci piace ricordare Valerio per quello che ci ha lasciato, per quello che rimane di lui vivo in noi e c'era questa riflessione sulla nostra identità, un po' sulla nostra natura, su quello che avevamo fatto, realizzato, portato avanti nel corso degli anni che a volte viene liquidato con faciloneria proprio da chi è interessato a liquidare tutto ciò con aggettivi quali delinquenti, violenti, gente di strada... Ecco, questo striscione dice, “Il tuo sapere la nostra vita”. Ora io con Valerio tra il 32, la radio, la libreria e altre cose, ho pubblicato dei libri e scritte varie cose insieme, abbiamo fatto dei manifesti. Abbiamo capito, forse un retaggio del passato, che la cultura intesa come sapere della coscienza è un mezzo formidabile, fondamentale. Senza di questo siamo condannati miseramente all'oblio, all'oppressione e allo sfruttamento. Ci piace prendere questo spunto da Valerio. Oggi siamo oggetti di studio, per quello che abbiamo fatto nel passato e per quello che continuiamo a fare nel presente; allora ciò che ci lascia Valerio ci muove e vorremmo prenderne spunto in questi due giorni”.
Per avvicinarci al festival dell'8-9 ottobre in ricordo di Valerio Marchi, pubblichiamo in questi giorni alcune sbobinature di interventi fatti in suo ricordo e nel nome delle controculture...continuiamo con Riccardo Pedrini.
PEDRINI: “Io volevo partire dall'inizio, da come e quando il punk-rock arrivò in Italia (allora si chiamava così...). La mia attività di scrittore e musicista è connessa in diversi ambiti a un gruppo, i Nabat, che sono stati importanti per lo sviluppo dell'OI! italiano, sono sempre stati molto legati agli skinhead come sottocultura, ma nascono in una temperie culturale in cui ancora gli skinhead non esistevano in Italia e nascono; all'origine anche i Nabat erano un gruppo puramente di Punk-rock. Steno aveva i capelli a spina, un giubbotto di pelle ecc. (Philopat se lo ricorda...). È interessante cercare di capire il contesto quotidiano in cui nasce il punk in Italia; e la prima cosa da dire è che il mondo da cui nasce il punk italiano è lontanissimo da quello dei giorni nostri. La fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80 sono davvero un altro pianeta da tantissimi punti di vista: innanzi tutto come situazione politica che c'era ancora. Immaginate che a Bologna, il partito tradizionale della classe operaia che era il PCI era sopra il 50% e la sua opposizione era un'opposizione di sinistra. Un paese completamente diverso da quello in cui viviamo adesso.