- Ciao Paolo, innanzitutto vorrei chiedere come e quando ti sei avvicinato agli sport di lotta e in maniera più specifica al brazilian jiu jitsu ed al grappling?
Salve a voi, e grazie per l’intervista.
Ho iniziato a praticare Arti Marziali e Sport da Combattimento fin da piccolo, cominciando con lo Yoseikan Budo, Sanda e Kickboxing. La pratica del Jiu Jitsu Brasiliano (BJJ) e della Lotta Olimpica sono venuti quasi per caso, spinto dalla volontà di completare a 360 gradi le mie abilità marziali, e me ne sono innamorato, focalizzando il mio impegno quasi esclusivamente sulle discipline lottatorie.
- Cosa ti ha spinto a portare avanti questo lungo e duro percorso coronato anche da una serie di ottimi risultati sportivi?
La passione per il confronto e la dimensione ludica che sono sempre presenti nel Jiu Jitsu Brasiliano.
È inutile girarci intorno, con un titolo così accattivante la voglia di ritrovarmi questo libro (Hellnation Libri, 2016) tra le mani era enorme e devo dirlo sin dall'inizio, l'attesa e le aspettative riposte in questa lettura sono state ampiamente ripagate. Non perché sia effettivamente un "romanzo ultrà", poiché le vicende prettamente curvaiole vengono trattate incidentalmente (e in maniera molto matura e responsabile anche quando si citano “aneddoti specifici”, questo viene fatto senza citare le tifoserie coinvolte, rinunciando a quella tentazione di autoesaltazione e “celodurismo” che va tanto in voga nelle curve di questi tempi) quanto perché, pur non costituendo un corpus organico, come del resto ha ammesso lo stesso autore durante la presentazione dello scorso 2 luglio al Sally Brown, questa summa di racconti di vita vissuta illustra alla perfezione quello che dovrebbe essere l'approccio alla realtà da parte di quelli che erano una volta gli ultras prima che si facessero ammaliare dai selfie in posa e dalle camicette di marca scegliendo di fatto di privilegiare la forma rispetto alla sostanza.
Billy Tully è un pugile sull’orlo del precipizio. Sta per imboccare definitivamente una via senza ritorno. Lo descrive così Leonard Gardner nel suo romanzo Città amara del 1969 recentemente ripubblicato da Fazi: «Mentre spostava a poco a poco un braccio, e raddrizzava una gamba, sentiva i muscoli pulsargli sulle ossa, con l’agonia del recluso. Era in gabbia. La vita gli sembrava prossima alla fine. Tra quattro giorni avrebbe compiuto trent’anni».
Eppure in quell’istante infinitamente lungo, in cui un pesce abbocca all’amo, il boxeur si dibatte con violenza. Non accetta di essere “issato a bordo”, spera ancora di slamare e scappare beffardo con un colpo di coda verso il profondo blu. Magari ferito, ma libero da chi vuole fargli la pelle.
Billy Tully insomma non vuole passare la linea d’ombra, quell’invisibile confine fra l’avventatezza e la maturità che Conrad ha saputo raccontare con dovizia nell’incipit di La linea d’ombra, il suo capolavoro del 1917. Il pugile vuole giocare fino all’ultimo la sua partita. Pur avendo finito le fiches. Pur avendo esaurito le carte vincenti.
Non ha paura di perdere, la sconfitta è la sua religione e la sua vita è un totem eretto al fallimento.
Il libro di Stefano Benedetti, Sognando Messi. La verità sulle scuole calcio pubblicato da Dissensi ha un grande merito: sollevare dubbi e perplessità su un modello ormai saldamente radicato, quello delle scuole calcio per bambini.
Il risultato è a tratti sconcertante e non mancano gli spunti per provare a ragionare e decostruire un modello di sport “malato” che viene inculcato fin dalla tenera età negli sportivi del domani.
E questo libro rischia di avere l’effetto di “scoperchiare un vaso di pandora”, capace di sconvolgere i genitori benpensanti del XXI secolo, ossessionati in genere dalla loro prole e dannatamente “figliocentrici”.
Il centro del discorso ruota attorno a quanto il modello dello scuole calcio per bambini sia influenzato in modo nefasto da tre grandi mali: l’assoluta inadeguatezza del personale tecnico, l’improvvisazione nei metodi di allenamento e il principio economico come unico principio guida. Insomma la bussola di queste strutture è orientata al business e il profitto è l’unico parametro di riferimento.