In occasione dell’uscita di “Una trasferta lunga una vita. Passioni sportive e storie militanti di un ultras eretico”, scritto da Mariano Aloisio per Hellnation Libri, pubblichiamo il capitolo che dà il titolo al volume. Dedicato, neanche a dirlo, a uno dei cardini della vita vita ultras: la trasferta.
Per molti emigrati “malati” come noi, per studio o per lavoro, c’era e, ancora per pochi, c’è un solo modo per non staccare mai il cordone ombelicale che ci tieni uniti alla terra madre: seguire e sostenere il Catanzaro, soprattutto in trasferta. Non sono mai esistite donne, feste, intemperie, manifestazioni, vacanze che potessero sovvertire quest’ordine divino. La trasferta veniva prima di ogni altra cosa al mondo. Che fosse a cento chilometri di distanza o a mille, che avessimo diecimila lire in tasca o cinquantamila, non faceva alcuna differenza. Per gente senza patria come noi, romani a Catanzaro e calabresi a Roma, tifare la squadra della propria città anche in serie Z era motivo d’orgoglio e marcava una notevole differenza. Soprattutto ci distanziava da quelli che chiamavamo “calabresi pentiti”, ovvero quella moltitudine di “perdenti” che, attraverso il tifo per squadre tipo Milan, Inter e Juve, cercavano un riscatto sociale o un modo, sbagliato, di integrarsi nelle città dove erano emigrati.
L'8 giugno 1990 prendeva il via la Coppa del Mondo Fifa di Italia 90. In questi giorni, manco a dirlo, su vari giornali del Belpaese si possono leggere numerosi articoli e ricordi “romantici” di quelle giornate che, purtroppo per i colori azzurri, si conclusero in un modo non proprio felice.
Al contempo, sono stati veramente pochi coloro che hanno messo in risalto i vari problemi, soprattutto dal punto di vista economico, che quel mega-evento lasciò. Tra stadi enormi costruiti nel nulla, si pensi al San Nicola di Bari, in zone che avevano bisogno di ben altro tipo di servizi pubblici, e infrastrutture mai utilizzate sono stati parecchi gli sprechi, grazie soprattutto ai preventivi non rispettati, in lungo e in largo per tutto lo Stivale.
Non è mancato neanche chi ha raccontato le curiosità e gli aneddoti, legati prettamente all'ambito calcistico, di quell'evento. Sono molti gli esempi che si possono fare in questo campo: dal fatto che quello italiano sia stato l'ultimo mondiale a cui partecipò la nazionale tedesca divisa fino alla strabiliante impresa della nazionale africana del Camerun che riuscì ad arrivare fino ai quarti di finale del torneo prima di essere eliminata dall'Inghilterra.
Nel febbraio del 2016, a Bologna, era maturata l’idea di dedicare un festival al calcio e alla sua letteratura. Si sarebbe chiamato “Parole nel pallone” e lo avremmo organizzato noi della Red Star Press insieme a Sportpopolare.it e al CUA. Al momento di fissare il cartellone degli ospiti, l’idea si impose da sola, quasi fosse obbligatoria: «Perché non invitiamo Gianni Mura?».
Fu così che presi la carta e la penna. Anzi no, seduto alla scrivania della Red Star Press, accesi il computer e iniziai a digitare sulla tastiera:
Buonasera Gianni,
è un piacere per me scriverti e mi permetto di usare il tu per la familiarità – tutta immaginaria, anzi letteraria – con i tuoi libri e articoli.
Quando il Presidente del Consiglio ha firmato il Decreto del 9 marzo (allargando di fatto la “zona arancione” e le restrizioni che questa porta con sé a tutto il territorio nazionale) le nostre attività erano già sospese da quasi una settimana.
Sembra passata una vita eppure risale solo a due settimane fa l’ultimo allenamento della squadra.
Sportivamente stavamo vivendo una stagione esaltante che, non senza qualche passo falso, ci vedeva terzi con un occhio alle prime della classe e uno alle dirette inseguitrici per la zona play-off (dal 2° al 5° posto per chi, per fortuna sua, non fosse pratico di Terza Categoria).