In occasione dell’uscita di “Federico Ovunque” (https://bit.ly/2CpSxHr), scritto da Daniele Vecchi per Hellnation Libri, pubblichiamo in anteprima la prefazione al volume, scritta dal papà di Aldro. A Lino, così come a tutti i familiari e agli amici di Federico, va la nostra solidarietà incondizionata e tutto il nostro affetto, insieme all’ammirazione per l’ininterrotta battaglia condotta nel nome della memoria, della giustizia e della libertà. Federico vive!
Anche quest’anno qualcuno mi avrebbe chiesto: «Cos’ha fatto la Spal?».
Sorrido nel pensare che quel qualcuno, ogni domenica nell’anno trascorso, è stato lì a guardarci accarezzato dal vento, grazie a chi ha pensato di adottarlo come amico, come fratello, per non far vincere la morte; e per non far vincere chi, di quella morte orribile, resterà per sempre il responsabile.
Meravigliosa e commovente l’idea di quella bandiera dei ragazzi della Curva Ovest che nonostante tutto, alla faccia di un mondo malato di troppe cose, ha restituito a quel ragazzo, mio figlio, il calore e l’affetto di tanti cuori, quasi come a cercare di sconfiggere quel freddo bestiale, inenarrabile, che Federico incontrò una fredda e maledetta mattina di quindici anni fa.
In occasione dell’uscita di “Una trasferta lunga una vita. Passioni sportive e storie militanti di un ultras eretico”, scritto da Mariano Aloisio per Hellnation Libri, pubblichiamo il capitolo che dà il titolo al volume. Dedicato, neanche a dirlo, a uno dei cardini della vita vita ultras: la trasferta.
Per molti emigrati “malati” come noi, per studio o per lavoro, c’era e, ancora per pochi, c’è un solo modo per non staccare mai il cordone ombelicale che ci tieni uniti alla terra madre: seguire e sostenere il Catanzaro, soprattutto in trasferta. Non sono mai esistite donne, feste, intemperie, manifestazioni, vacanze che potessero sovvertire quest’ordine divino. La trasferta veniva prima di ogni altra cosa al mondo. Che fosse a cento chilometri di distanza o a mille, che avessimo diecimila lire in tasca o cinquantamila, non faceva alcuna differenza. Per gente senza patria come noi, romani a Catanzaro e calabresi a Roma, tifare la squadra della propria città anche in serie Z era motivo d’orgoglio e marcava una notevole differenza. Soprattutto ci distanziava da quelli che chiamavamo “calabresi pentiti”, ovvero quella moltitudine di “perdenti” che, attraverso il tifo per squadre tipo Milan, Inter e Juve, cercavano un riscatto sociale o un modo, sbagliato, di integrarsi nelle città dove erano emigrati.
L'8 giugno 1990 prendeva il via la Coppa del Mondo Fifa di Italia 90. In questi giorni, manco a dirlo, su vari giornali del Belpaese si possono leggere numerosi articoli e ricordi “romantici” di quelle giornate che, purtroppo per i colori azzurri, si conclusero in un modo non proprio felice.
Al contempo, sono stati veramente pochi coloro che hanno messo in risalto i vari problemi, soprattutto dal punto di vista economico, che quel mega-evento lasciò. Tra stadi enormi costruiti nel nulla, si pensi al San Nicola di Bari, in zone che avevano bisogno di ben altro tipo di servizi pubblici, e infrastrutture mai utilizzate sono stati parecchi gli sprechi, grazie soprattutto ai preventivi non rispettati, in lungo e in largo per tutto lo Stivale.
Non è mancato neanche chi ha raccontato le curiosità e gli aneddoti, legati prettamente all'ambito calcistico, di quell'evento. Sono molti gli esempi che si possono fare in questo campo: dal fatto che quello italiano sia stato l'ultimo mondiale a cui partecipò la nazionale tedesca divisa fino alla strabiliante impresa della nazionale africana del Camerun che riuscì ad arrivare fino ai quarti di finale del torneo prima di essere eliminata dall'Inghilterra.
Nel febbraio del 2016, a Bologna, era maturata l’idea di dedicare un festival al calcio e alla sua letteratura. Si sarebbe chiamato “Parole nel pallone” e lo avremmo organizzato noi della Red Star Press insieme a Sportpopolare.it e al CUA. Al momento di fissare il cartellone degli ospiti, l’idea si impose da sola, quasi fosse obbligatoria: «Perché non invitiamo Gianni Mura?».
Fu così che presi la carta e la penna. Anzi no, seduto alla scrivania della Red Star Press, accesi il computer e iniziai a digitare sulla tastiera:
Buonasera Gianni,
è un piacere per me scriverti e mi permetto di usare il tu per la familiarità – tutta immaginaria, anzi letteraria – con i tuoi libri e articoli.