Leggendo il titolo dell'album del 37enne artista comasco verrebbe da pensare ad un esordio da solista. In realtà si tratta del suo terzo disco, dopo la lunga militanza negli Atarassia Grop, e allora come mai “La prima volta”? La risposta si trova all'inizio del libretto che contiene i testi, ed è ispirata dalla lettura del libro di Maurizio Maggiani “Il coraggio del pettirosso”: “Avevo dimenticato la mia storia. Quella cominciata nei primi anni novanta e proseguita tra palchi traballanti, sudore a fiumi, braccia nude tatuate mischiate nel pogo, urla e risate, abbracci fraterni, sguardi complici. Quella storia è tornata a prendermi e mi ha salvato. Ad un certo punto avevo quasi dimenticato chi sono e a cosa appartengo. Mi ero messo addosso una camicia stirata e mi ero incamminato, con tutta l'ingenuità che mi è possibile, ad inseguire il profumo inebriante della parola “cantautore”. Per abbondanza di paura ero finito ad assomigliare a tutti tranne che a me stesso. Ora ho ritrovato “il coraggio del pettirosso”, sepolto sotto quintali di voce lasciata in gola. Per questo coraggio e per questa (ri)presa di coscienza devo ringraziare tante persone...”
Scrivi degli ultrà
la vita da teppista
non dici verità
bastardo giornalista
Non mi ricordo più come sono diventato ultrà. A me, allo stadio, non mi ci ha mai portato mio padre: non è per onorare la sua memoria che seguo il calcio. Il calcio, per me, non è nemmeno tanto un fatto di cori o di bandiere e, se penso al campo da gioco, di colori e di profumi è l’ultima cosa di cui parlo. Ho una fede, certo. E questa è salda. Credo in dei principi ben precisi, ma non ho voglia di dire esattamente quali. Perché ci sono cose di cui si può parlare e altre per cui le parole non servono a nulla: per capirle occorre esserci. Ma,sopratutto, occorre fare.
Dopo la strada e la palestra, un buon posto dove fare a pugni è in libreria. Niente di strano perché fra scaffali e pile di libri non è difficile incontrare scrittori con zigomi rigonfi e naso schiacciato.
Così si può trovare Efrem Medina Reyes, alcolista, erotomane, musicista e pugile fallito, autore di diversi romanzi nei quali la boxe fa da sfondo.
Negli ultimi giorni si è svolto l'ennesimo capitolo della saga delle “uscite” razziste e fasciste cui tranquillamente si lasciano andare personaggi stimati e rispettati del calcio nostrano. Arrigo Sacchi, colui che fece grande il Milan di Berlusconi nei primi anni '90, e un po' meno grande la nazionale, oggi assiduo frequentatore dei salotti televisivi, ha detto la sua sulla situazione dei settori giovanili italiani sostenendo che questi sono “troppo pieni di giocatori di colore”.