In questo scorcio finale dei campionati europei in cui sono stati decretati i verdetti finali della stagione, vari opinionisti, riferendosi all'impresa del Leicester, hanno attinto fortemente, quasi ai limiti dell'abuso, alla metafora della classe operaia che va in paradiso.
Il Besiktas e Istanbul
Ci eravamo già espressi in precedenza per dimostrare quanto questa visione possa essere fuorviante per una serie di motivazioni e quindi, pur consapevoli dell'appeal infinitamente superiore che ha la Premier League, se davvero si vuole parlare di una classe operaia che va in paradiso, bisogna attraversare quasi tutto il continente e fermarsi sul Bosforo, in Turchia, dove il Beisktas si è laureato campione nazionale per la quattordicesima volta. Infatti, la squadra bianconera, pur essendo la più vecchia polisportiva turca, nata nel 1903, nell'immaginario rappresenta il parente povero, la terza squadra di Istanbul, quella del popolo (letteralmente halk takim) e della sua classe operaia, indistintamente sia della zona europea che di quella asiatica (molto caratteristici i viaggi per andare allo stadio, a bordo di battelli) a fronte delle due compagini più blasonate: il Galatasaray, da sempre considerata la squadra dell'elite filo-europea e il Fenerbache, la squadra degli asiatici, quella più ricca; oppure come vengono definite dai rispettivi detrattori, il Galatasaray sarebbe la squadra degli ebrei, il Fenerbache quella dei greci e il Besiktas quella degli armeni.
Non è la prima volta e quasi sicuramente non sarà nemmeno l'ultima in cui il calcio risulta essere il termometro di una situazione sociale in ebollizione. Discorso che vale ancora maggiormente per la Spagna dei super team in cui, a dispetto della pressoché identica potenza economica dei suoi due club più blasonati, essi rappresentano, da sempre, sentimenti ben definiti e contrastanti tra essi all'interno delle proprie comunità di appartenenza e tra esse e il mondo esterno. Naturalmente ciò non poteva cambiare in chiusura di una stagione che ha ancora molto da dire per il calcio iberico. Così, è appena giunta la notizia del divieto categorico di esposizione della “estelada”, la bandiera catalana di cui avevamo parlato già in precedenza per un analogo divieto giunto dalla UEFA, per i supporters del Barcellona che assisteranno alla finale di Coppa del Re che si disputerà domenica sera contro il Siviglia fresco vincitore di Europa League, sul campo neutro del Vicente Calderon (lo stadio in cui gioca l'Atletico Madrid) e che in caso contrario gli oltre 2.500 uomini della sicurezza impiegati per il servizio d'ordine del match non esiteranno a rimuoverle con le buone o con le cattive.
L'ultima di campionato del Centro Storico Lebowski è uno di quegli appuntamenti da non perdere, specie per chi come il sottoscritto arriva cullandosi in un'illusione, quella per cui vincendo i grigioneri andrebbero ai playoff, come del resto la classifica sembrerebbe affermare senza lasciare spazio a dubbi. Arrivo quindi aspettandomi una partita da vivere col cuore in gola, pronti a far esplodere in un boato tutta la tremenda tensione di un match come questo. Ci pensano subito alcuni cari amici a riportarmi alla realtà: se tra la seconda e la quinta in classifica ci sono 10 punti o più, niente playoff per la quinta, i grigioneri lo sanno già da un paio di settimane.
Mancano ormai pochissime giornate al termine della “regular season” dei campionati “minori”, salvo in alcuni gironi di Terza Categoria iniziati con ampio ritardo. È davvero tempo di sprint finale: da che mondo è mondo, la primavera porta le giornate lunghe, le partite viste in maglietta o a petto nudo col sole che inizia a bruciare (e a moltiplicare lʼeffetto delle birre), la tensione che sale perché ogni partita che passa è sempre più decisiva. In questo, la differenza tra serie A e campionati minori quasi si annulla, sovrastata dalla trance agonistica. Andiamo allora a vedere quali sono le squadre del calcio popolare che lottano per obiettivi importanti, e che potrebbero allungare la propria passione e le proprie pene nel girone infernale dei playoff o dei playout.
Che i rapporti tra il ventre caldo della tifoseria del Paris Saint Germain e la dirigenza del club francese non siano idilliaci, non è un segreto per nessuno e questi problemi risalgono a prima dellʼacquisto della Qatar Investment Authority dellʼestate del 2011; vale a dire al momento in cui, al culmine della faida che aveva coinvolto le due curve del Parco dei Principi (la Kop Boulogne frequentata da casual, membri dellʼʼ estrema destra e dallʼimpostazione hooliganistica a cui si opponeva il Virage Auteuil composta da varie crew antirazziste e da una matrice più vicina al tifo allʼitaliana), che costò anche la morte di un membro del KOB (Yann Lorence), lʼallora presidente Robin Leproux con lʼassistenza del Ministro degli Interni francese Brice Hortefeux, varò il “Modello Parigi” col chiaro intento di estirpare le violenze (e forse anche gli ultras...) dallo stadio parigino: vengono sciolti per decreto cinque sottogruppi (tre del Virage Auteuil e due della Kop Boulogne), vengono immessi i biglietti nominativi e lʼorganizzazione da parte del club di tutte le trasferte.
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