Fiumi di inchiostro sono stati versati da tutta la stampa mainstream italiana sui fatti di mercoledì 18 e giovedì 19 febbraio a Roma, quando l'attenzione dell'intera città e di tutta Italia è stata catalizzata dalle scorribande dei tifosi del Feyenoord nelle piazze del centro di Roma. Leggendo i titoli dei giornali si è portati ad immaginare uno scenario apocalittico, secondo solo all'incubo di uno sbarco dell'Isis sulle nostre coste: “Hooligans devastano la città”, “I nuovi barbari distruggono Roma” e così via, in una avvincente gara a chi dipinge il quadro più drammatico e sensazionalistico. Il principale motivo di scandalo è il danneggiamento della fontana di Bernini a Piazza di Spagna, nota come la Barcaccia. Un fatto grave, senza dubbio. Ma la somma dei danni materiali si limita a questo: qualche centimetro di marmo di questa storica fontana, qualche vetro di automobile danneggiato durante la fuga dalle cariche della polizia, qualche danno ai mezzi dell'Atac che, dopo le cariche, trasportavano gli olandesi verso lo stadio. Insomma, per parlare a ragion veduta di città devastata, violentata e traumatizzata per sempre, sembrerebbe volerci ben altro.
Sin da piccoli ci si avvicina al tifo sportivo, seguendo le orme di un padre (o di una madre, o di una figura-guida qualsiasi) appassionato, o magari perché rapiti dall’emozione di una vittoria o di una sconfitta durante i primi giochi di bambino. A Roma, come in gran parte d’Italia, ci si avvicina di solito a un unico, grande sport: il calcio ovviamente. Come una religione si sceglie più o meno autonomamente di appartenere a una squadra per un’infinità di ragioni e con miriadi di gradazioni differenti. Di solito la Roma. Meno frequentemente la Lazio. Poi qualche squadra a caso del Nord se ti piace vincere più facile.
A Roma il tifo in altri sport, lo confessiamo, è praticamente assente. Non che non si pratichino sport di squadra e individuali a vario livello. O non che non esistano società dilettantesche e professionistiche dotate di storia, prestigio e radicamento territoriale. Sarebbe peraltro impensabile non ci fossero in una metropoli come quella romana, dove l’appartenenza a un quartiere segue di poco quella a una squadra e spesso è legata proprio alla frequentazione di centri sportivi laici o ecclesiali.
Da pochi giorni è iniziato il 2021. Quello che ci lasciamo alle spalle è stato, sotto molti punti di vista, uno degli anni più strani mai vissuti e che probabilmente, nel giro di poco tempo, troveremo spiegato e analizzato su qualche libro di storia. Una delle sofferenze maggiori che ho dovuto sopportare nel 2020 a causa di questa maledetta pandemia è stata la chiusura degli stadi di calcio, almeno per i tifosi, su tutto il territorio nazionale. Tale decisione ha levato una buona fetta di spettacolo a uno sport che, nonostante i vari lati negativi mostrati negli anni, riesce ancora ad affascinare milioni di persone nel mondo intero.
Una passione che alle nostre latitudini viene ancora coltivata, principalmente, da coloro che sono conosciuti come “ultras”, per quanto negli anni le cose cambino sempre.
Il dio denaro ha ancora una volta mostrato il suo fallimento nel mondo del pallone. È una delle prime cose che ho pensato vedendo il cammino in Champions League della tanto blasonata Inter di Antonio Conte. Questa estate, dato anche il sontuoso mercato della squadra nerazzurra, in molti vedevano il club meneghino come la protagonista della stagione sia a livello nazionale che internazionale. E come dar loro torto considerando gli acquisti, nel giro di due anni, di Romelu Lukaku, Arturo Vidal e Alexis Sanchez? E poi Hakimi, Eriksen, Young, Darmian.
Ci sono delle partite che sono destinate a entrare nella storia a prescindere dal loro valore prettamente agonistico o dal coefficiente tecnico dei contendenti in campo. Così può capitare che un (all’apparenza) anonimo match della seconda giornata del campionato di “Primera Division” femminile argentina tra Lanus e Villa San Carlos, disputato lo scorso lunedì 7 dicembre e terminato per sette reti a una a favore delle prime, rappresenti un passaggio epocale, non solo per il calcio argentino, ma per tutta la società del paese sudamericano.
La motivazione è dovuta alla presenza nelle fila del Villa San Carlos di Mara Gómez, ventitré anni, la prima calciatrice transgender a scendere in campo in un match ufficiale.
Un punto di vista differente sui fatti di stretta attualità sportiva e sociale.
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