Ora parlano di lui e scrivono di lui / lo psicologo il sociologo il cretino / e parlano di lui e scrivono di lui / ma lui rimane sempre clandestino.
(Gianfranco Manfredi, Dagli appennini alle bande)
Stabilire oggi se Valerio Marchi sia stato un illuminato fa sorridere. Non ci sono patenti da assegnare a nessuno. Soprattutto a coloro che, come Valerio, non hanno mai abdicato alla scorciatoia del consenso, al culto genuflesso del pensiero unico dominante, preferendo l’impervia strada della continua ricerca della verità, del sapere, del riscatto.
Valerio Marchi è stato un illuminato. Lo è stato in virtù di uno sguardo consapevole sempre rivolto più in là dell’oltre, rivolto a superare le semplificazioni dell’ovvio, dello scontato, del remissivo. È stato un illuminato in virtù del fatto che tutta la sua opera e la sua vita, poiché di intellettuale di strada stiamo parlando, è stata caratterizzata dalla fervente volontà di imporre le esistenze di centinaia di migliaia di giovani come oggetto di studio e non solo oggetto di cronaca, il più delle volte, nera.
Ammetto: del Sankt Pauli ho una sciarpa di raso bianco. Al muro, accanto all’Ikurrina. E pure il biglietto di una trasferta mai fatta. A Francoforte sul Meno. Non posso quindi – in coscienza – sostenere la tesi di un’assoluta indifferenza “storica” nei confronti della compagine amburghese e della sua storia. Ma oggi – al netto delle occupazioni sulla Hafenstrasse, dell’epopea e del riscatto degli ultimi, degli emarginati, dei lavoratori del porto, dei punk, degli autonomi, delle jolly roger – e a margine dell’ennesima presentazione dell’ennesimo libro agiografico sull’argomento, fuori dai denti, va detto: non se ne può più! E non certo e non tanto per loro, quanto per noi. Per quel che vediamo quando decidiamo di osservare gli esterni; e per quel che riportiamo a noi, al nostro immaginario di strada e di militanza, sulla strada del ritorno.
(Flavio Pagano, Senza paura, Giunti, 2014)
Se non pretendesse di offrire una narrazione, e quindi inevitabilmente una serie di giudizi, su un fatto di cronaca così delicato e controverso come quello dell'omicidio di Ciro Esposito, Senza paura sarebbe un libro come molti altri: una storia familiare caratterizzata dalla perdita e dalla sofferenza, narrata dalla voce di un nonno reso duro e a suo modo saggio dalla vita, non privo di una spiccata tendenza moralista. Una madre che muore prematuramente, un padre scellerato e un rapporto intenso e particolare tra nonno e nipote, che segna profondamente la crescita del ragazzo. Gli ingredienti-base per un libro semplice e scorrevole, non certo un capolavoro ma neanche qualcosa su cui spendere giudizi troppo negativi, se non fosse per un approccio troppo didascalico in cui l'autore tramite la voce narrante del nonno dispensa giudizi su come sia giusto o meno comportarsi nella vita. Ma fin qui, poco male.
C’è chi dice che tifare Arsenal vada di moda… eppure non sembra. Sono passati i tempi di Nick Hornby e di Fever pitch – brutalizzato con l’inesatta traduzione “italianizzata” Febbre a 90° – un libro che è autentico capolavoro del Regno Unito post-thatcheriano, zeppo di disillusioni, birra sgasata e rumoroso tifo da stadio.
I Gunners non giocano più come una decina di anni fa, quando il loro calcio era rigorosamente champagne – anche grazie a metà della nazionale francese ingaggiata in squadra – e da troppo tempo manca una galvanizzante vittoria in Premier.
È vero, quest’anno l’Arsenal ha conquistato sia la Fa Cup, sia la Community shield (una sorta di supercoppa d’oltremanica) ma il trionfo che conta, quello in campionato, è uno sbiadito ricordo incapace di riempire, anche metaforicamente, quell’angolo di bacheca vuoto.
Se si dovesse scegliere una colonna sonora per la “stracittadina” editoriale che ha come protagonista il Fc St. Pauli, la squadra tedesca kult con sede nel quartiere omonimo di Amburgo, una buona scelta sarebbe Dirastar e la sua Tor zur Welt. Il derby Braun-Weiß (bianco-marrone, i colori della squadra) fra Bepress e Deriveapprodi, fatto di libri e combattuto a suon di “chiavi di lettura”, copertine e font, scivolerebbe accompagnato dal rap nu-school tedesco, nel quartiere a ridosso del porto, dove fra sexy club e sottoproletariato è cresciuta la più famosa utopia calcistica degli ultimi anni, ovvero quello del St. Pauli, aka la squadra del popolo.
Protagonisti della maratona di scrittura oltre gli editori, due scrittori nati a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta: da una parte Nicola Rondinelli, classe 1982 autore di Ribelli, sociali e romantici. F.c. St. Pauli fra calcio e resistenza edito da Bepress nel marzo 2015, dall’altra Marco Petroni, classe 1979 con St. Pauli siamo noi. Pirati, punk e autonomi allo stadio e nelle strade di Amburgo, uscito per Deriveapprodi nel maggio 2015.
Un punto di vista differente sui fatti di stretta attualità sportiva e sociale.
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