Com'era facilmente prevedibile, l'ondata di commozione succeduta ai brutali attentati dello scorso 13 novembre a Parigi ha fatto serrare i ranghi alla comunità francese, la quale ha deciso di rispondere con una grande affermazione di fermezza e orgoglio nazionale che ovviamente, e non poteva essere altrimenti, ha investito anche lo sport. Avevamo già accennato che uno dei primissimi provvedimenti adottati dal Ministro dello sport francese Thierry Braillard insieme a Noël Le Graët, presidente della Federazione calcistica francese, la Fédération Française de Football (FFF), era stato quello di vietare le trasferte ai tifosi per motivi di sicurezza, oltre che annullare le partite previste nella regione circostante Parigi, l'Île de France. Inoltre, in tutta Europa, in segno di solidarietà, sarebbe stata intonata la “Marsigliese” prima dei vari incontri che si sarebbero disputati nel passato weekend. Sin da quando queste misure sono state disposte, l'obiettivo del mondo sportivo francese, ma forse più in generale di buona parte dell'opinione pubblica transalpina, era focalizzato sullo stadio “Armande Cesari” di Bastia, conosciuto altresì come “Stade Furiani” che avrebbe ospitato un derby della Corsica, vale a dire il match tra la squadra locale, lo Sporting-Club Bastia e l'Ajaccio Gazélec (la seconda squadra della cittadina corsa, benché quest'anno si trovi in una categoria superiore rispetto ai cugini dell'Ajaccio), che mancava da ben ventidue anni.
È passata una settimana scarsa dai terribili attentati di Parigi e le prime conseguenze sono state tanto prevedibili quanto pessime: nuovi bombardamenti in Medio Oriente su zone densamente abitate da civili, allarmismi paranoici in tutta Europa, restrizioni già arrivate o quanto meno annunciate alla nostra libertà personale in nome della sicurezza e della lotta al terrorismo, il bisogno di identificare tout court il nemico nel diverso, in chiunque si richiami alla religione musulmana o che non voglia salire sul carro di questa nuova crociata, come già fu dopo l'11 settembre. Insomma, uno scenario che ha molto poco da invidiare a quelli prefigurati da Alan Moore in “V for Vendetta” o da Orwell in “1984”, in cui in nome della democrazia, questa stessa viene sospesa fino a data da destinarsi. Non è questa la sede per approfondite analisi politiche sulle guerre contemporanee e le dinamiche di potere a livello internazionale, ma alcune riflessioni sono d'obbligo, visto che amare lo sport non può significare considerarlo un compartimento stagno, un settore staccato dal mondo che lo circonda.
Del risultato sul campo poco c'importava. A tutti, nel senso che mai come in questo caso l'attenzione degli ultras, ma in generale dei tifosi ancora legati alla passione per il calcio visto allo stadio, era concentrata soprattutto su cosa sarebbe accaduto fuori dall'Olimpico. Di solito le turbolenze a Piazza Mancini, Ponte Duca d'Aosta o Ponte Milvio riguardano quella parte di derby che si gioca tra le fazioni più accese delle due tifoserie. Stavolta l'attesa era invece tutta rivolta a come si sarebbe concluso il braccio di ferro tra il Prefetto Gabrielli e le due tifoserie capitoline, per l'occasione “unite nella lotta”: nei mesi scorsi, come sappiamo, l'Olimpico è tornato ad essere laboratorio di repressione e intimidazione nei confronti di chi vive ancora il tifo come uno spazio in cui i comportamenti si autodeterminano. Non che molti dei comportamenti presenti e passati dei gruppi organizzati di Roma e Lazio siano da difendere o da rivendicare, anzi tutt'altro. Ma non è questo il punto. Il punto è difendere il concetto di autonomia di uno spazio come la curva: non vogliamo stadi in cui sei costretto a stare seduto, a sventolare solo la bandierina ufficiale del club con tanto di logo pubblicitario, a restare incollato al tuo seggiolino, ché se vai a salutare un amico un po' più in là rischi la multa per “cambio posto”. Il tutto al modico prezzo di 50 euro o giù di lì. E le barriere montate nelle due curve, così come le multe e i Daspo che fioccano per i motivi più surreali, sono un chiaro segnale di un modello autoritario che si impone, fingendo anche di essere paterno e sorridente, come si sforza di essere il Sig. Gabrielli nella sua recita dello “sbirro fermo ma ragionevole”: recita che porta in giro già da un po' di tempo, accompagnandola con manganellate, idranti e arresti contro chiunque si opponga, anche solo timidamente e pacificamente, al suo modello retrogrado di città. E probabilmente il Signor Prefetto sognava di vedere di nuovo in azione idranti, manganelli e poi manette, come del resto aveva promesso alla vigilia: “Se ci sarà ribellione, spazzerò via il movimento ultras da Roma”, ma “se i tifosi si comporteranno come dico io per un annetto, forse, e dico forse, l'anno prossimo potremmo anche rimuovere le barriere”. La sintesi del significato di “autoritarismo”: ti darò lo zuccherino solo se mi leccherai la mano.
Nella Roma degli sgomberi e della repressione dura del dissenso, targata Prefetto Gabrielli, non sono solo studenti e occupanti di casa a risentirne. Negli ultimi due mesi nell’occhio del ciclone del dibattito, almeno capitolino, c’è anche la chiusura/diserzione della Curva Sud , lo storico settore del tifo giallorosso. I tifosi della Roma, come gli altri del resto, sono anni che vengono vessati con ogni forma di provvedimento repressivo e restrittivo. Dando fede a una rapida ma indicativa cronologia si può affermare che: dal biglietto nominale si è passati ai tornelli, da questi si è arrivati alla tessera del tifoso. Da quest’ultima a pratiche quali il “super D.A.S.P.O.” – interdizione dal frequentare gli stadi per 8 anni – oppure al “D.A.S.P.O di gruppo”, il passo è breve.
Nel giro di pochi anni sono stati repressi i comportamenti quotidiani diffusi all’interno degli stadi. La storia degli ultimi due anni della Curva Sud parla però una lingua differente, poiché nessun altro settore ha vissuto l’attacco che tocca oggi a noi tifosi della Roma. La data spartiacque è una, il 3 maggio del 2014, il giorno in cui un tifoso della Roma spara, ferendo mortalmente un supporter del Napoli, Ciro Esposito. È il fatto che serve per dare un’ulteriore sterzata alle operazioni contro i tifosi, ma per tutti gli esperimenti serve sempre una cavia dalla quale iniziare. Questo criceto da laboratorio ha un nome: Curva Sud che per tanti anni, tempi che chi scrive non può ricordare, è stata il fiore all’occhiello del movimento ultras italiano. Uno dei settori più popolati d’Europa: 17.000 spettatori e una capacità di mobilitazione in trasferta da far invidia alle spedizioni militari di Napoleone.
Niente da fare, non ce la fanno proprio a stare qualche mese senza fare “impicci”. E quindi ecco servito un nuovo scandalo che scuote le alte sfere del calcio nostrano: stavolta l'inchiesta riguarda una turbativa d'asta sull'acquisto dei diritti tv per il periodo 2015-18, e l'ostacolo all'attività degli organi di vigilanza riguardo ai bilanci di Bari e Genoa. In breve, questa l'accusa dei PM: la società di intermediazione finanziaria Infront avrebbe turbato le aste per i diritti tv per favorire Mediaset, violando i canoni di trasparenza e leale concorrenza. Inoltre la stessa Infront avrebbe versato fondi neri a Genoa e Bari per permettere loro di superare senza problemi i controlli della Covisoc ed iscriversi “regolarmente” ai rispettivi campionati. Ma cos'è esattamente questa Infront? Per molti aspetti, essa è il simbolo perfetto del “calcio moderno”: una società finanziaria fondata qualche anno fa da manager molto vicini a Mediaset, sia allora che oggi. Attualmente ricopre il ruolo di advisor della Lega Calcio per i diritti tv, e allo stesso tempo partecipa alla gestione del marketing di Milan, Lazio, Genoa, Sampdoria, con rapporti più sporadici anche con altri club, tra cui il Bari.
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