Quella di “calcio popolare” non può che essere una definizione vaga e fumosa, almeno allo stato di cose presenti. Del resto si è in una fase nascente, i progetti più vecchi hanno pochi anni, quelli più nuovi stanno nascendo in queste settimane e sperano di affacciarsi al prossimo campionato. Ci sono grandi distanze geografiche e modi diversi di intendere l'autogestione e la lotta politica, e in che misura queste debbano interagire con il percorso della squadra. Noi stessi come sito che si pone l'obiettivo di seguire questo mondo e narrarne il più possibile da vicino le gesta abbiamo un approccio arbitrario, ma ciò è inevitabile, perché sarebbe non solo impossibile ma anche indesiderabile stilare una sorta di decalogo del calcio popolare, stabilendo criteri rigidi per i quali sei “dentro o fuori”. Per fare un esempio lampante, annoveriamo tra le squadre “da seguire” l'Afro Napoli United, che in senso stretto non rientrerebbe in questo mondo: è finanziato e sponsorizzato da una cooperativa che lavora nel mondo dell'accoglienza, un mondo su cui tra l'altro chi scrive ha enormi perplessità. Ma stiamo parlando di calcio, e un progetto molto esposto sul tema dell'antirazzismo, tra l'altro con una tifoseria numerosa e politicamente schierata, attira la nostra simpatia, punto. A volte nella vita è meglio lasciare un attimo da parte la nostra rigida e un po' cupa morale di militanti e farsi guidare anche dall'istintiva simpatia, e il calcio è un ambito in cui lo si può fare senza rischiare di far troppi danni.
Lo dico subito a scanso di equivoci: a parte un'omonimia che per anni mi ha fatto prendere gioco dei miei compagni di classe di elementari e medie che abboccavano a una presunta parentela, ho sempre provato simpatia per Claudio Ranieri, solo ed esclusivamente perché ha legato i suoi destini da calciatore alla stessa squadra a cui ho legato il mio destino, di questa vita e probabilmente delle prossime reincarnazioni a venire, il Catanzaro. Il fatto poi che lo stesso, durante le estati, frequenti il medesimo pezzo di litorale del sottoscritto, mi ha restituito i racconti, da parte di perfetti estranei al mondo del calcio, di una persona, ma non di un personaggio, per via della sua semplicità e umiltà, quasi come non si fosse accorto che nell'universo pallonaro al giorno d'oggi se non te la tiri non sei nessuno, anche se sei un perdente di successo come lo era lui fino a ieri sera. Anzi, soprattutto se sei un eterno secondo, andando ad alimentare artificialmente quel poco di magia che c'è nel calcio moderno, mercificando anche questa figura romantica. Proprio perché ormai il calcio moderno fagocita tutto e ha trasformato anche la poesia in business, era facilmente auspicabile che la storica quanto clamorosa vittoria del fino a poco tempo fa semi-sconosciuto Leicester, sarebbe stata rivendicata da tutto un movimento calcistico, quello italiano, in coma irreversibile.
Sembra passata una vita, anzi sembra quasi una visione onirica, eppure non più tardi di una quarantina di giorni or sono chi vi scrive, insieme a tanti altri appassionati calciofili, si trovava nelle aule dellʼUniversità di Bologna, in unʼiniziativa organizzata dal Laboratorio Crash e del Collettivo Universitario Autonomo per discutere del pallone e dei mille e più modi per raccontarlo in modo da creare un pubblico di appassionati, dipendente da quelle emozioni che, volenti o nolenti, sa dare solo la tua squadra del cuore, quellʼunico legame che sai a prescindere che non tradirai mai. Sembrava quasi una sorta di patto generazionale: decani della letteratura sportiva del calibro di Gianni Mura e Darwin Pastorin si confrontavano con nuove generazioni di blogger e scrittori dal basso che provano quotidianamente ad emergere dalla massa indistinta di informazioni e riferimenti che è il web per proporre contenuti originali e di qualità, con la voglia di salvare il volto passionale e popolare del calcio, che non necessariamente deve coincidere con la nostalgia per il calcio che fu - perché anche adesso ci sono degli ottimi divulgatori - ma con la voglia di intenderlo in una maniera differente da come viene fatto oggi. I feedback di tutti i partecipanti sono stati più che positivi e speranzosi di poter dare nuova linfa a un settore, quello del giornalismo sportivo, sempre più in crisi per una serie di fattori, qualcuno endemico come può essere la crisi del giornalismo e dellʼinformazione più in generale, soprattutto in un contesto “sui generis” come quello italiano, e secondariamente per la trasformazione che sta vivendo il calcio in quanto tale.
Primo pomeriggio. Ho appena finito il pranzo e in attesa che sia pronto il mio caffè, mi rimetto al pc a lavorare, ma prima di iniziare mi concedo gli ultimi cinque minuti di relax, quelli che poi rischiano di farti sprofondare in un abbiocco senza fine, ma alla fine gli unici in cui hai realmente la mente libera e la pancia piena. Apro istintivamente due schede: nella prima comincio a scorrere i quotidiani per riuscire a fare una rassegna stampa sommaria; nella seconda metto un poʼ di musica, nulla di particolarmente impegnativo, anzi forse lʼesatto contrario; si tratta di quei pezzi che ascolto sin da adolescente, che hanno indirizzato il resto della mia vita verso un percorso arduo, di rivendicazioni inascoltate, ingiustizie patite e di casini per invertire il trend. “I servi del denaro sono i veri banditi!” - dalle mie cuffie esce questa strofa “evergreen”, non fosse altro che essa racchiude una verità incontrovertibile, sebbene sempre detta a denti stretti, sulla storia di questo mondo. Lasciata scorrere la playlist, inizio a leggere i quotidiani. La notizia del giorno riguarda una presunta frode fiscale da parte di varie società calcistiche, alcune delle quali facenti parte a tutti gli effetti del gotha del calcio italiano, dal Milan al Napoli, tanto per citarne qualcuna.