Al giorno d’oggi pensare al Bayern Monaco porta inevitabilmente a focalizzarci su una storia farcita di trionfi: alla cannibalizzazione della Bundesliga, a cui siamo ormai abituati da tempo, fa eco una stagione memorabile che ha portato i bavaresi sul tetto del mondo giusto qualche settimana fa a coronamento di un magic moment che ha portato nella bacheca dei biancorossi sei titoli negli ultimi sette mesi.
Tuttavia, per quanto si tratti del club più blasonato della Germania e di uno dei top-team mondiali, ci sono alcune pagine della sua storia che sembrano avvolte nel mistero se non volutamente dimenticate, non per questioni direttamente riconducibili a dinamiche di campo, ma per questioni “morali”.
Il nuovo campione italiano dei supergallo si chiama Jonathan Sannino, ha 28 anni e “T-34” è il suo soprannome sul ring. Un omaggio all’invincibile mezzo corazzato dell’Armata Rossa ma anche una dichiarazione di intenti esplicita, vista la determinazione con cui avanza sul quadrato.
Questo T-34 labronico ha conquistato con i suoi cingolati – a testa bassa e senza fretta – il suo giorno di gloria, grazie al passo incessante di chi crede fermamente nelle proprie risorse. Venerdì 12 febbraio nella cornice del Pala Cosmelli ha finalmente alzato le braccia al cielo con rabbia e orgoglio, dopo aver sconfitto per ko tecnico alla sesta ripresa il romano Giovanni Tagliola, in un incontro caparbio affrontato con il piglio del pugile maturo.
L'anniversario delle foibe, probabilmente il principale caso di revisionismo storico italiano, è arrivato. Il 10 febbraio di ogni anno, “grazie” alla legge 92 emanata il 30 marzo 2004 durante il II governo Berlusconi, viene difatti commemorata la “Giornata del Ricordo”. In tale occasione, citiamo il testo della legge, si vuole “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
Le foibe, a livello geologico, sono delle fosse del terreno, tipiche della regione giuliano-dalmata, dove tra il 1943 e 1945 vennero gettati i corpi di varie tipologie di vittime, fino ad arrivare alle ultime fasi della guerra in cui le truppe partigiane di Josip Broz Tito vi giustiziarono degli italiani, civili e non.
Purtroppo la storia del calcio è tristemente costellata da tragedie e morti sugli spalti. Nel corso degli anni ce ne sono state davvero tante e in ogni angolo del globo, e alcune di esse sono entrate prepotentemente nella nostra memoria a trazione eurocentrica, non fosse altro per la cornice dell’evento in cui si sono verificate – e ovviamente il primo pensiero va alle vittime dell’Heysel nel 1985, o a quelle di Sheffield del 1989 – come se morire per una finale di Coppa dei Campioni o una semifinale di FA Cup valesse di più che farlo per un Sambenedettese-Matera di serie C1 (nel 1981), o che farlo nella patria del football fosse diverso che farlo in uno stadio del Ghana (ad Accra nel 2001) o del Perù (Lima 1964).