Nel 2017 gli spot trasmessi durante il Super Bowl sono costati agli sponsor locali 175.000$ al secondo. Feste private in cui sono stati consumati 1,33 miliardi di ali di pollo e quasi 30 milioni di fette di pizza soltanto da Domino’s e Pizza Hut, oltre a 2,4 miliardi di dollari in alcool. Combinando questi numeri con gli stratosferici prezzi dei biglietti, ogni osservatore ragionevole concluderebbe che il Super Bowl rappresenta il consumismo capitalista ai suoi massimi livelli.
I conservatori nell’ambito del gioco hanno sostenuto con orgoglio che il football forma gli spettatori in queste virtù capitaliste. Jack Kemp, quarterback diventato membro del Congresso, ha celebrato il football come «capitalismo democratico» in azione; Fran Tarkenton, che ha fatto di se stesso un business e ha pubblicato tre libri all'età di 30 anni, ha definito il gioco «parte del nostro sistema di impresa libera».
Quello della Frazione Calcistica Dal Pozzo è sicuramente un caso del tutto particolare nel panorama dei progetti “popolari” italiani. La prima cosa che anni fa, quando scoprii la loro esistenza, mi colpì fu quello che pensai essere un riferimento al mai abbastanza elogiato Q dei Wu Ming (allora Luther Blissett), e al suo protagonista Gert Dal Pozzo. Con quest’ultimo del resto la ciurma gialloverde condivide il destino di una vita passata a sfidare l’ordine del mondo, a sovvertire la legge del più forte con ogni mezzo necessario. Non avevo immaginato che invece la denominazione avesse una semplicissima origine geografica: Dal Pozzo è il loro paese, anche se poi la squadra e la tifoseria sono composte da persone provenienti da tutto il circondario. Poche centinaia di anime al bordo della città di Saronno, hinterland nord-occidentale di Milano: un caso unico in effetti, la Frazione Calcistica non rappresenta una grande città o un suo quartiere, o una media città di provincia, ma per l’appunto una piccola frazione, in una zona dove le mappe sono punteggiate in modo fitto da piccoli centri intervallati da campi e zone industriali, con la metropoli milanese sempre lì che incombe, ma ancora non ti fagocita.
Stasera andrà in scena l’atto conclusivo di questa Copa Libertadores tra River Plate e Flamengo, la prima finale unica, la seconda di fila con spostamento di sede: infatti dopo quanto accaduto l’anno scorso per il Clasico tra Boca Junior e River Plate, costrette a giocare il ritorno a Madrid, quest’anno a cambiare i piani della Conmebol ci ha pensato il popolo cileno che ha costretto il massimo organismo del calcio sudamericano a dirottare la sede da Santiago a Lima.
Se da un lato troviamo una formazione abituata a certi palcoscenici nonché squadra detentrice del trofeo, vale a dire il River Plate, dall’altro invece c’è il gradito ritorno di una grande del calcio carioca che non raggiungeva vette simili dai tempi dell’amatissimo Zico. Lungi da noi voler sminuire il valore della partita più importante del subcontinente, ma in contemporanea il team brasiliano sta disputando un’altra partita, importante anche questa, la cui posta in palio è l’anima e l’identità della squadra rosso-nera, la più seguita e amata in patria insieme al Corinthians.
Dopo l’exploit mediatico dei mondiali francesi di quest’estate, il calcio femminile sembrava essere ritornato, se non proprio nell’oblio, quantomeno al di fuori dei radar degli appassionati di sport, che ogni tanto ricevono qualche timido input a riguardo come ad esempio le attenzioni sul big-match di domenica scorsa tra Milan e Juventus, capitato fortunosamente durante una domenica di pausa del campionato maschile.