In questo periodo di quarantena a causa della pandemia da Coronavirus il mondo dello sport “mainstream” sta avendo più di qualche problema, soprattutto dal punto di vista economico. Come spiegato da noi in un recente articolo nell'universo del pallone nostrano, ad esempio, sono numerosi i club italiani che spingono per una ripresa dell'attività agonistica nel minor tempo possibile.
Al contempo, però, ci sono altre squadre che cercano di far finire il campionato nazionale adesso senza che vengano emessi i verdetti riguardanti vinti e vincitori. Quel che temono tutti di più, però, sono le conseguenze economiche di tale stop forzato che, manco a dirlo, vedono i famigerati compensi economici legati ai diritti tv a farla da padroni.
Insomma anche in questo caso, e nonostante i vari appelli all'unità giunti da varie istituzioni, ognuno cerca di tirare l'acqua al proprio mulino. Purtroppo questa non rassegnazione al fermarsi del tutto e a dar priorità alla salute non riguarda solo il vecchio continente e, nello specifico, l'Italia.
Si fa un gran parlare del calcio ai tempi del corona virus, ma com'è ovvio l'attenzione è tutta concentrata sulle consuete polemiche che riguardano il calcio dei miliardi e dei vip. E quanto stucchevoli sono i discorsi che provengono da quel mondo, tanto lo sono quelli di chi lo critica. Recriminazioni fuori tempo massimo su partite che non si sarebbero dovute svolgere, fatte magari da sindaci che diversi giorni dopo ancora incitavano i cittadini a fare shopping e aperitivi come se nulla fosse. Giocatori di prima fascia che rinunciano agli stipendi, cosa che attira loro lodi e improperi in egual misura, ed entrambi ampiamente inutili e superflui. Polemiche sulla possibile ripresa dei campionati, con le varie società che provano a mascherare goffamente il fatto che anche adesso, come sempre, ognuno tira l'acqua al proprio mulino: chi aveva una stagione interessante spinge per riprendere, chi viceversa non aveva grandi obiettivi manderebbe volentieri tutto a monte. Staremo a vedere, l'unica parola veramente importante sarà quella dei medici e delle autorità sanitarie. Alla luce del rinvio degli Europei e delle Olimpiadi, appare ad oggi abbastanza probabile che in qualche bizzarra maniera la stagione dei campionati principali e delle Coppe europee verrà portata a termine, anche se trapelano opinioni di scienziati che sostengono che avremo delle ondate di emergenza che si alternano, cosa che per lo svolgimento dei tornei sportivi rappresenta effettivamente una minaccia non da poco.
Heather “The Heat” Hardy è originaria di Brooklyn, si allena alla Gleason Gym, uno dei tempi del pugilato statunitensi: qui si sono allenati pugili del calibro di LaMotta, Alì e Duran. Ha un record di 22 vittorie (4 ko) e una sconfitta, combatte anche nelle Mma (Mixed martial arts), ma non si limita a calci e pugni, è anche modella e grande appassionata di rap. Eppure nonostante sia una sportiva di fama mondiale sul web non è semplice scovare i suoi incontri. Anche se è una campionessa del mondo e una delle prime tre nella categoria dei pesi piuma. Ciò la dice lunga sul pugilato e sul divario di genere nel professionismo.
Oltre a boxare molto bene, Hardy è diventata un’icona femminista negli Stati Uniti. Almeno di questo l’accusano i suoi detrattori, pensando di farle un torto. L’“accusa” è di aver “importato” una battaglia antisessista nel pugilato. Una rivendicazione di stampo politico all’interno della noble art, che secondo alcuni invece dovrebbe rappresentare un campo neutro, privo di contraddizioni, asettico. Nello spirito di De Coubertin. Hardy invece non solo si è battuta per l’equiparazione delle borse (i corrispettivi che ricevono i pugili dopo ogni incontro) ma ha evidenziato le grandi difficoltà che le donne incontrano nell’accedere al professionismo. Non solo in termini economici.
Che cosa c’entra il River Liffey con la scena calcistica di Dublino e ancora più nello specifico, con l’accesa rivalità tra Bohemian FC e Shamrock Rovers? A Nord del fiume Liffey troviamo la zona dei “Bohs”, mentre quello a sud è territorio dei “Rovers”. “Bohs”, oppure “Gypsies” sono i nicknames con cui vengono identificati i supporters del Bohemians. Se il primo è un semplice diminutivo, il secondo rimanda a un aspetto interessante della storia di questo club. Il Bohemian Football Club viene fondato da un gruppo di studenti, riuniti il 6 Settembre 1890 a Phoenix Park. Al primo incontro ufficiale del club, iscritto alla Dublin Association FC, erano presenti solamente dodici giocatori, compreso un barbuto portiere con la sua pipa. La squadra nei primi anni della sua vita, vagando in cerca di un posto accettabile dove giocare, rappresentava appieno lo spirito “Bohemian”, un termine peraltro molto in voga nella Dublino dell’epoca, e allo stesso tempo ricordava un gruppo di “Gypsies”. Nel 1901 il Club si stabilisce definitivamente nel quartiere di Phibsborough in quello che è l’attuale campo da gioco e casa dei Bohs: Dalymount Park. La storia del Bohemians è caratterizzata da diversi successi a livello nazionale, e sporadiche apparizioni nelle coppe internazionali, ma c’è un elemento che ne definisce l’essenza: l’appartenenza del club alla comunità e al territorio di riferimento. Fin dalla nascita, avvenuta nel 1890, non c’è mai stato un ricco proprietario al vertice dei Bohs, ma sempre una solida base di membri/volontari, che coi loro sforzi economici e materiali hanno assicurato un presente e un futuro sostenibile alla loro squadra.