Una delle cose che il nuovo millennio (ma le radici affondano ben prima) ha appurato è che il calcio, il raccontare il calcio e la speculazione faziosa su entrambi, come ad esempio quella che ha riguardato l’idealizzazione del derby di Berlino che è andato in scena sabato 2 novembre, possono essere uno straordinario strumento di propaganda politica.
Era sicuramente il derby più atteso dell’anno nel vecchio continente e non sarebbe potuto essere altrimenti: dalla caduta del Muro, per la prima volta nel massimo campionato tedesco si affrontavano due squadre berlinesi, la neo-promossa Union e l’Hertha, così vicine e così lontane per una serie sterminata di motivazioni. Principalmente per i campionati in cui hanno militato per gran parte della loro storia: l’Hertha disputava quello della Germania dell’Ovest, mentre l’Union quello della Germania orientale; ma anche il background d’appartenenza sia delle squadre che di conseguenza quindi anche quello delle rispettive tifoserie: i biancoazzurri risiedono nel quartiere borghese di Charlottenburg con una tifoseria piuttosto freddina, mentre i biancorossi dal quartiere operaio di Kopenick, il che lo ha reso il club per antonomasia vicino agli operai, principalmente metallurgici, da qui l’epiteto di Eisern Union (Unione di ferro) per il club, mentre i suoi tifosi sono da sempre chiamati Schlosserjungs, i ‘ragazzi metalmeccanici’.
Che il mondo del pallone attuale abbia più di qualche problema da affrontare lo abbiamo imparato da parecchio tempo oramai. Sono stati infatti molti i casi in cui anche noi abbiamo messo in luce lati del mondo calcistico che si scontravano inevitabilmente con la realtà sociale e politica circostante.
Tra questi sicuramente ci sta il fatto che, in determinate situazioni, non si riesca a garantire lo svolgimento di una singola partita per questioni di ordine pubblico. L’ultimo caso, in ordine cronologico, risale solamente a poche ore fa quando la Liga spagnola ha deciso che il clasico Barcellona-Real Madrid, in programma il prossimo 26 ottobre al Camp Nou, deve essere spostato a data da destinarsi.
L’ormai sempre più vasta letteratura calcistica ha dedicato ampi capitoli alla fenomenologia del derby, all’esplicazione dei concetti che esso racchiude e al manicheismo che ne è alla base, perché, è inutile negarlo, questo tipo di sfide costituiscono il sale del calcio e più queste sono sentite, più attirano l’interesse degli appassionati, oltre che sprigionare allo stesso tempo quel senso di appartenenza al proprio campo e di avversione a quello “nemico”, una vera e propria weltanschauung. Tutta roba che in epoca di finanziarizzazione selvaggia del calcio diventa sempre più rara da trovare come i rinoceronti bianchi, ormai prossimi all’estinzione.
Ci risiamo: con l’inizio della nuova stagione calcistica torna, inesorabilmente, l’eterna questione legata al caro-biglietti. Già in occasione del derby capitolino, giocatosi alla seconda giornata, era stato evidente il problema.
Il distinto sud riservato alla tifoseria giallorossa, quello che divide la Curva Sud dalla Tribuna Tevere, è rimasto desolatamente chiuso perché erano stati venduti troppi pochi biglietti. Il motivo? Sicuramente la contestazione in atto nei confronti della dirigenza americana, ma anche il prezzo dei biglietti che ha spinto molti tifosi a preferire la poltrona di casa. Il club di Lotito, squadra ospitante, aveva chiesto 45 euro per entrare in un settore dello stadio in cui la visuale lascia alquanto a desiderare.