Secondo alcune teorie, ancora da comprovare empiricamente, una dei presupposti affinché l’universo resti in una sorta di equilibrio sostenibile, non bisognerebbe mai sguinzagliare un esemplare di Dopone in giro per la penisola e col senno del poi – sfogliando i risultati elettorali, ma non solo – potremmo dire che siamo sempre più vicini all’accettazione di questo assunto anche da parte di quella parte di comunità scientifica più scettica.
Noncurante ciò, dopo neanche settantadue ore dalla fine del primo mini-tour di presentazioni di Curve Pericolose, mi rimetto in viaggio destinazione Milano, in quello che – a proposito di equilibrio cosmico – non so se è un unicum assoluto, ma quanto meno abbastanza raro, è un weekend che vede entrambe le squadre meneghine giocare in trasferta, non certo un colpo di fortuna per i calciofili, ma quello è il weekend designato per la prima edizione di “Campo Aperto”, l’evento che avrebbe riaperto la stagione dei festival calcistici in presenza; ironia della sorte abbastanza vicino a San Siro.
L’emozione non ha voce, diceva qualcuno, e molti di noi ieri quella voce l’hanno persa dentro quel campo agognato che è quello dei Cavalieri di Colombo per sostenere i propri colori. L’emozione però rimane, tanta, forte, indelebile come tutte quelle volte che il calcio popolare e lo sport popolare in generale riescono nell’impresa di costruire quel suo pezzo di mondo a loro immagine. Sì, proprio quello dello slogan “un altro mondo è possibile”, anzi necessario.
Il 17 novembre 1983 veniva fondato l'EZLN (Ejército Zapatista de Liberación Nacional), uno dei più importanti movimenti di guerriglia tuttora esistenti. La sua base logistica è, ancora oggi, nel Chiapas, Stato situato nella zona sud-orientale del Messico in una delle aree più povere e arretrate del gigante centro-americano.
Questo movimento rivoluzionario fece il suo esordio ufficiale, a livello mondiale, il 1 gennaio 1994. Quel giorno diventava operativo il NAFTA (North American Free Trade Agreement), con il quale si puntava a un'agevolazione, di stampo neo-liberista, delle attività commerciali dei tre più importanti paesi dell'America settentrionale e centrale: Stati Uniti, Canada e Messico.
Sono state le Olimpiadi nell’epoca del Coronavirus, rimandate nel nome dello spettacolo che è stato comunque monco a causa dell’assenza di spettatori. Sono state le Olimpiadi nell’epoca del ‘woke’, della paura nei confronti di nuovǝ potenzialǝ ‘Smith e Carlos’, di gesti eclatanti che potessero scuotere la comunità. Sociale e olimpica. Sono state le Olimpiadi che hanno rimesso al centro il tema della salute mentale e dello sport, perché non è vero che basta praticarlo per stare bene. Sono state le Olimpiadi nelle quali abbiamo soppesato ogni risultato che avesse la bandiera italiana, ogni medaglia o la sua assenza, con l’obiettivo di far quadrare un bilancio o trovare il pelo nell’uovo a ogni costo. Eppure non è per forza una medaglia a definire la caratura di una vittoria.