Se avete frequentato anche solo per un breve periodo le curve, la retorica del “Combattete da ultras” rivolto ai propri giocatori non potrà esservi estranea. Tuttavia, sarà molto meno usuale vedere il contrario, cioè ultras, o comunque tifosi accaniti, che “si comportano” da calciatori. Certo, nel corso degli anni e soprattutto nell’arcipelago del calcio popolare abbiamo avuto diversi esempi virtuosi: dallo United of Manchester all’Atletico Club de Socios, fino ad arrivare anche qui in Italia, dall’Ideale Calcio Bari alla Brutium Cosenza (senza contare contesti che se non provenienti direttamente dalle curve hanno accolto diversi transfughi delle curve che a loro volta hanno influenzato la coscienza e la cultura dei propri club, da Firenze a Palermo), ma probabilmente nessuno può vantare una storia turbolenta come quella del Canelas 2010, club di un sobborgo meridionale di Oporto, che attualmente milita nella terza divisione portoghese ed è soprannominata “la squadra più cattiva del mondo”.
È il 6 marzo 1984 quando Billy Collins jr., talento della boxe nordamericana di origine irlandese, muore in un incidente stradale ad Antioch, Tennessee. L’autopsia rivela che la morte è sopraggiunta di colpo fra i vetri in frantumi, senza farsi annunciare. Ma oltre i rilievi autoptici e le sottigliezze del medico legale, è l’ultimo periodo della vita di Billy a raccontare la verità su quel terribile schianto.
A ucciderlo non è stata tanto l’alta velocità, né l’alcool presente nel suo sangue. Piuttosto qualcos’altro. Di più oscuro e profondo che ha preso il sopravvento. Da un po’ il pugile del Tennessee non è più lo stesso. Sembra un morto che cammina. Un reduce che insegue i suoi fantasmi, segnato da qualcosa che non si vede ma che somiglia a un’ossessione. Chi gli sta vicino se ne accorge. Lo vede perso.
Appena nove mesi prima, il 16 giugno 1983, al Madison Square Garden – nel sottoclou dell’incontro valevole per il mondiale Roberto Durán vs. Davey Moore – si è consumata la tragedia che ha spezzato la sua vita, aprendogli quella voragine interna che è l’unica vera responsabile di quel triste epilogo.
Al giorno d’oggi pensare al Bayern Monaco porta inevitabilmente a focalizzarci su una storia farcita di trionfi: alla cannibalizzazione della Bundesliga, a cui siamo ormai abituati da tempo, fa eco una stagione memorabile che ha portato i bavaresi sul tetto del mondo giusto qualche settimana fa a coronamento di un magic moment che ha portato nella bacheca dei biancorossi sei titoli negli ultimi sette mesi.
Tuttavia, per quanto si tratti del club più blasonato della Germania e di uno dei top-team mondiali, ci sono alcune pagine della sua storia che sembrano avvolte nel mistero se non volutamente dimenticate, non per questioni direttamente riconducibili a dinamiche di campo, ma per questioni “morali”.
Il nuovo campione italiano dei supergallo si chiama Jonathan Sannino, ha 28 anni e “T-34” è il suo soprannome sul ring. Un omaggio all’invincibile mezzo corazzato dell’Armata Rossa ma anche una dichiarazione di intenti esplicita, vista la determinazione con cui avanza sul quadrato.
Questo T-34 labronico ha conquistato con i suoi cingolati – a testa bassa e senza fretta – il suo giorno di gloria, grazie al passo incessante di chi crede fermamente nelle proprie risorse. Venerdì 12 febbraio nella cornice del Pala Cosmelli ha finalmente alzato le braccia al cielo con rabbia e orgoglio, dopo aver sconfitto per ko tecnico alla sesta ripresa il romano Giovanni Tagliola, in un incontro caparbio affrontato con il piglio del pugile maturo.