“Subito dopo, mi innamorai della boxe, e di quel mondo. Se ti entra nel naso l’odore di una palestra di pugilato non te lo togli più”
Così scrive Gianni Minà nel suo ultimo libro, Storia di un boxeur latino, la sua autobiografia. Nulla di più vero, chi in un modo o nell’altro entra nel mondo del pugilato, comincia a ragionare in maniera diversa. Diventa “pugilatocentrico” per così dire. Figuriamoci quindi come potrebbe reagire una persona così, se per caso al mondo dovesse capitare qualcosa che il pugilato glielo porta via. Fantascienza? No. È appena successo, o meglio, sta succedendo. Noi “della boxe” infatti, il picco non l’abbiamo affatto superato.
Qualche mese prima che la pandemia sconvolgesse le nostre vite, Domenico Iannaccone, giornalista dalla profonda umanità, ha deciso di dedicare due puntate della trasmissione Che ci faccio qui a una delle realtà più dure della periferia romana, Corviale, che avrebbe dovuto rappresentare una nuova idea di edilizia popolare, mentre oggi si identifica in un labirinto di ponti e gallerie di cemento ospitante in nove piani più di 5000 persone. Nel tratto lungo un kilometro si intrecciano le storie di abbandono, di disagi, di ingiustizie stratificate, di assenza di servizi e di assistenza, di sfratti, di incendi, di occupazioni, ma anche di famiglie unite dalla disperazione e dalla speranza di migliorare quel luogo che amano e odiano nello stesso tempo. Quello che a occhi esterni sembrerebbe un luogo di delinquenza e di degrado sociale, per i giovani residenti è tutto, è casa, è famiglia, è fratellanza e rispetto, un posto che nonostante i problemi, brilla.
Un caro amico di un'altra palestra popolare a cui sono molto legato oggi mi esternava le sue considerazioni sul fatto che, fra mille difficoltà, divieti e adempimenti, hanno deciso di riaprire i corsi a settembre. Visto l'enorme impiego di risorse umane ed economiche per permettere a un numero esiguo di persone di poter usufruire di allenamenti tremendamente limitati dai parametri anti-contagio Covid, la loro scelta potrebbe essere la più assennata. E il dubbio ha sfiorato anche noi della PalPop San Lorenzo in diverse ore di accesi dibattiti e animate riunioni. A un mese dal nostro ventiduesimo compleanno anche noi ci siamo posti la domanda, ma la maggioranza ha risposto decisa: “Sì, ne vale sempre la pena”.
E così ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo cominciato un'opera sanificatrice di quasi venti giorni di lavoro duro, intenso ma gioioso per poter garantire ai nostri allievi e allieve salvaguardia e garanzie sanitarie secondo norme e regole vigenti. Il nostro senso di responsabilità a volte è andato anche oltre.
In fin dei conti era inevitabile che dopo aver attraversato diversi paesi del subcontinente latinoamericano, a maggior ragione viste le condizioni specifiche da un punto di vista socio-economico e geopolitico, le proteste di piazza avrebbero fatto capolino anche in Brasile. E così come è avvenuto principalmente in Cile, ma anche in Colombia ed Ecuador, a tirare le fila della contestazione ci sono le tifoserie organizzate dei principali club del paese.
In un paese allo stremo - dove all’endemica piaga della diseguaglianza sociale si è aggiunta quella del Covid-19 (al momento il Brasile è il quarto paese al mondo per numero di vittime) ulteriormente aggravata dall’amministrazione di Bolsonaro che a una conclamata incapacità abbina l’applicazione dei più spregevoli dogmi neoliberisti e della difesa dei privilegi di razza e classe – nonostante i sostanziali divieti di assembramenti, le strade delle principali metropoli del paese si sono riempite e allo stesso tempo polarizzate. Avenida Paulista, la via principale di Sao Paulo, è diventata il simbolo della contrapposizione sociale di un paese diviso, con l’obiettivo di occuparla prima dell’avversario e di tenerla, costi quel che costi, fino all’escalation di scontri di domenica tra le opposte fazioni che si erano approcciate al rendez-vous come se fosse una giornata campale. In ogni caso ben presto questa radicalizzazione si è espansa anche nelle altre grandi città del paese, da Rio de Janeiro a Porto Alegre, passando per Brasilia e Belo Horizonte (anche se soprattutto in quest’ultimo caso i numeri dei tifosi e dei manifestanti sono stati contenuti, quasi a mo’ di rappresentanza per rispetto delle disposizioni anti-Covid).