Un caro amico di un'altra palestra popolare a cui sono molto legato oggi mi esternava le sue considerazioni sul fatto che, fra mille difficoltà, divieti e adempimenti, hanno deciso di riaprire i corsi a settembre. Visto l'enorme impiego di risorse umane ed economiche per permettere a un numero esiguo di persone di poter usufruire di allenamenti tremendamente limitati dai parametri anti-contagio Covid, la loro scelta potrebbe essere la più assennata. E il dubbio ha sfiorato anche noi della PalPop San Lorenzo in diverse ore di accesi dibattiti e animate riunioni. A un mese dal nostro ventiduesimo compleanno anche noi ci siamo posti la domanda, ma la maggioranza ha risposto decisa: “Sì, ne vale sempre la pena”.
E così ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo cominciato un'opera sanificatrice di quasi venti giorni di lavoro duro, intenso ma gioioso per poter garantire ai nostri allievi e allieve salvaguardia e garanzie sanitarie secondo norme e regole vigenti. Il nostro senso di responsabilità a volte è andato anche oltre.
In fin dei conti era inevitabile che dopo aver attraversato diversi paesi del subcontinente latinoamericano, a maggior ragione viste le condizioni specifiche da un punto di vista socio-economico e geopolitico, le proteste di piazza avrebbero fatto capolino anche in Brasile. E così come è avvenuto principalmente in Cile, ma anche in Colombia ed Ecuador, a tirare le fila della contestazione ci sono le tifoserie organizzate dei principali club del paese.
In un paese allo stremo - dove all’endemica piaga della diseguaglianza sociale si è aggiunta quella del Covid-19 (al momento il Brasile è il quarto paese al mondo per numero di vittime) ulteriormente aggravata dall’amministrazione di Bolsonaro che a una conclamata incapacità abbina l’applicazione dei più spregevoli dogmi neoliberisti e della difesa dei privilegi di razza e classe – nonostante i sostanziali divieti di assembramenti, le strade delle principali metropoli del paese si sono riempite e allo stesso tempo polarizzate. Avenida Paulista, la via principale di Sao Paulo, è diventata il simbolo della contrapposizione sociale di un paese diviso, con l’obiettivo di occuparla prima dell’avversario e di tenerla, costi quel che costi, fino all’escalation di scontri di domenica tra le opposte fazioni che si erano approcciate al rendez-vous come se fosse una giornata campale. In ogni caso ben presto questa radicalizzazione si è espansa anche nelle altre grandi città del paese, da Rio de Janeiro a Porto Alegre, passando per Brasilia e Belo Horizonte (anche se soprattutto in quest’ultimo caso i numeri dei tifosi e dei manifestanti sono stati contenuti, quasi a mo’ di rappresentanza per rispetto delle disposizioni anti-Covid).
Quello che state per leggere è un racconto sull’amore per la maglia biancorossa dell’1. Fussballclub Union Berlin, la squadra più punk di Germania.
L’Union è da sempre la squadra “contro” della capitale tedesca.
Una storia fatta di contrarietà all’establishment della DDR, stadi ricostruiti dai propri tifosi, quei tifosi che hanno letteralmente donato il sangue per salvare i biancorossi dal fallimento, una continua ricerca di libertà e odio totale verso i nazisti, una storia fatta di vigilie di natale passate tutti insieme dentro lo stadio a regalare qualcosa a chi non poteva permetterselo. Tutto questo lontano dai riflettori e da qualsivoglia tentativo di brandizzazione della propria immagine sportiva e politica. L’Union fa storia a sé e gli Unioners non si possono incasellare in nessuna categoria conosciuta, sono identitari ma aperti al mondo. Lo so, sono le parole di un innamorato. Un amore di quelli che nascono da adulti e di cui nemmeno ti accorgi. Vengono fuori lentamente e crescono dentro di te e quando ci sono non riesci più a mandarli via. Ti accorgi che devi viverli e ti lasci travolgere.
“Nessuno si salva da solo”. E il calcio può rappresentare anche il riprendere in mano la propria vita, prima di ritrovare la libertà oltre le sbarre. È questa la storia dell’ASD Polisportiva Pallaalpiede, una squadra di calcio nata nel 2014 all’interno della casa di reclusione “Due Palazzi” di Padova e che costituisce un esempio unico a livello nazionale di squadra regolarmente iscritta a un campionato di Terza Categoria della FIGC.
La Polisportiva, che ha conquistato per quattro stagioni di fila la “Coppa disciplina” e ha vinto nel 2019 il campionato di Terza Categoria (girone C), ha avuto risonanza mediatica attraverso il documentario di impegno civile intitolato Tutto il mondo fuori, diretto dal regista Ignazio Oliva e andato in onda il 13 maggio 2020 sul canale 9. Il docufilm, le cui riprese sono terminate poco prima del lockdown imposto dall’emergenza sanitaria, ripercorre le storie di tre detenuti del carcere di Padova che, attraverso i progetti formativi e l’inserimento lavorativo, hanno avuto un’occasione di recupero e di rinascita. Troppo spesso la vita quotidiana dentro gli istituti carcerari è caratterizzata da storie di degrado, vessazioni e compressione dei diritti della persona, mentre in questa Comunità, modello avanzato nella gestione penitenziaria, si vuole dare voce ai racconti dei detenuti e dei loro familiari, degli agenti, del cappellano e degli educatori, in un’ottica di speranza.