Per gli appassionati di calcio che abbiano più di 25 anni, sentire il nome Castel di Sangro genera un piacevole sussulto. Come dimenticare infatti quella squadra giallorossa che dal ’96 al ‘98 si affacciò per due stagioni in Serie B, e nel ’99 arriva agli ottavi di Coppa Italia con tanto di match di Coppa Italia contro l’Inter? Questo piccolo paese di confine tra Abruzzo e Molise, dotato da allora di un paradossale stadio da 8.000 posti per un totale di 6.000 abitanti, rappresenta oggi una delle realtà emergenti più interessanti nella galassia del calcio popolare.
Un nuovo spauracchio si aggira all’interno degli stadi italiani in questa vigilia di nuova stagione. L’ultima trovata, per quanto non molto “a sorpresa”, del sistema-calcio italiano nell’ottica di normalizzare definitivamente la figura del tifoso, a uso e consumo del meccanismo di profitto economico e dell’onnipotenza delle società e dei presidenti in particolare. L’istituzione dei “codici di gradimento” o “codici etici”, obbligatori per ogni società professionistica, era la conseguenza prevedibile del percorso di abolizione della Tessera del tifoso iniziato la stagione scorsa. Illudersi che non ci sarebbero stati nuovi provvedimenti sarebbe stato davvero sciocco. Senza dubbio alcuni effetti positivi ci sono stati: tutti hanno ricominciato a viaggiare in trasferta, sono tornati i tamburi. Questo non per bontà della controparte, ma solo perché hanno registrato un sonoro fallimento, con gli stadi svuotati proprio di quelle “famigliole” che tanto dicevano di voler fidelizzare. E quindi adesso si inaugura una stagione diversa, sempre all’insegna del tentativo di fare del tifoso un cliente da supermercato e di non permettergli alcuna autonomia di pensiero e di azione individuale o collettiva.
L’impressione di molti è che la Colombia abbia abbandonato troppo presto questi Mondiali per il potenziale che aveva a disposizione, vittima forse della sfortuna per via dell’infortunio del loro uomo più rappresentativo James Rodriguez, o secondo qualcun altro per colpa dell’arbitraggio nell’ottavo di finale contro l’Inghilterra, comunque i “cafeteros” hanno venduto cara la pelle facendosi valere, come pure attestano le migliaia di persone che hanno ugualmente atteso il rientro della nazionale a casa per tributargli comunque un ringraziamento per non essersi risparmiati e aver onorato il paese.
Il quarto di finale di domani tra la Russia e la Croazia è senza dubbio molto interessante e pieno di spunti di riflessione. Tralasciando solo per un attimo gli aspetti meramente agonistici, quello che forse non viene debitamente tenuto in conto è l’astio che divide questi due popoli (d’altronde, prima che la mannaia della “normalizzazione preventiva” voluta da Putin calasse sul mondiale, i russi avevano indicato proprio nei croati uno dei loro principali bersagli da colpire, subito dopo gli inglesi in un’ipotetica scala gerarchica delle priorità). Il motivo è dovuto principalmente a quel sentimento di solidarietà reciproca che lega la Russia alla Serbia in nome di una comune matrice ortodossa ancora prima che (pan)slava, che ha visto varie volte nel corso dei secoli Mosca correre in aiuto di Belgrado quando questa veniva minacciata dagli Ottomani o dagli Asburgo, e anche durante la Seconda Guerra Mondiale questo legame speciale di solidarietà si manifestò in una variante comunista quando il Movimento di liberazione Jugoslavo (unico a liberarsi senza l’aiuto di un esercito alleato), passò all’azione in seguito all’invasione nazista dell’Unione Sovietica. Noi, riprendendo un articolo del portale francese “Footbalski”, decliniamo questo rapporto fraterno all’interno del mondo delle curve, aggiungendo anche un ulteriore tassello, vale a dire la Grecia, altro baluardo ortodosso dell’Europa orientale.