Esistono giornate che difficilmente si dimenticano, che si segnano indelebili nei cuori di chi le vive. Per arrivare a viverle devi sacrificarti, devi importi un regime di concentrazione massimale, devi far conciliare il tuo mondo quotidiano con l’aspirazione della vittoria.
Devi essere tu artefice del tuo destino, devi essere tu a desiderare la vittoria come il bene per tutti, devi giocare, sudare, comprometterti con la tua squadra così visceralmente che a volte è difficile capire il labile confine tra il tuo intimo privato e l’orgia emozionale che ti catapulta nel tuo essere sociale. Sportivo, militante, simpatizzante, qualsiasi cosa tu sia o scelga di essere a volte gli eventi esondano le aspirazioni e noi, tutti noi che c’abbiamo creduto siamo stati attraversati da questa onda rossoblù.
Sabato 16 giugno 2018 un altro pezzo di storia l’abbiamo scritta, un’altra conferma che la visione di un calcio (e di uno sport) bello, per tutti e vincente può e deve esistere.
Allora sia chiaro, come realtà sportiva non le si può dire niente: un paese che ha all’incirca gli abitanti di Firenze (poco più di 300mila) manda la squadra ai Mondiali, e anche una squadra competitiva, e non potrebbe essere altrimenti, perché se ti qualifichi da europea, conquistarsi i Mondiali sul campo non è facile. Panama può anche capitare per caso, l’Islanda no. Una cultura sportiva diffusissima a livello sociale, di grande accessibilità a tutti, fa sì che a dispetto del bacino di atleti molto ristretto questa isoletta mandi ai Mondiali una squadra capace di pareggiare con l’Argentina, difendendosi in modo arcigno e dignitoso. A seguire la nazionale nella sua prima (ed è sempre comunque possibile che rimanga l’unica) partecipazione mondiale, circa 40mila persone, più di un abitante su 10, con l’isola semi-spopolata. Per loro, è senza dubbio una cosa bellissima ed emozionante.
Probabilmente se Carlos Queiroz, l’allenatore che è riuscito a far qualificare l’Iran ai mondiali per ben due volte di fila, avesse saputo che sarebbe capitato nello stesso girone di Spagna e Portogallo, avrebbe evitato di affermare, all’indomani della qualificazione alla fase finale ottenuta grazie a un successo sull’Uzbekistan, che la sua squadra sarebbe andata in Russia con velleità di passaggio del girone. Anche se la fortunosa vittoria di ieri contro il Marocco permette ancora di sognare. Ma in fin dei conti non è mai stato l’aspetto prettamente calcistico la principale attrattiva indotta dalla partecipazione della nazionale iraniana ai mondiali.
I dinosauri della terra calcistica teutonica hanno abdicato.
Non è bastata la vittoria casalinga per 2-1 contro il Borussia Mönchengladbach, nell’ultima giornata dello scorso 12 maggio. Il fantomatico orologio del Volksparkstadion, che dal 2003, anno della sua installazione, segnava gli anni, i mesi, i giorni, le ore, i minuti e i secondi di permanenza della squadra in Bundesliga, si è miserabilmente azzerato. Poco dopo un vero e proprio delirio pirotecnico di disappunto messo in atto dalla Nordkurve Blau-Weiss.
Dopo 54 anni dalla nascita della Bundesliga, l’Amburgo retrocede in Zweite Liga, lasciando a Inter, Barcellona, Real Madrid, Athletic Bilbao e poche altre compagini in Europa il prestigioso primato di aver sempre disputato i rispettivi campionati di massima serie.
In realtà il fascino per gli ormai ex dinosauri della massima serie teutonica non è legato solo al famoso orologio “Bundesliga Uhr” ormai spento o ai fasti di fine anni Settanta e inizio anni Ottanta del Novecento, culminati con la vittoria della Coppa dei Campioni nel 1983 in quel di Atene contro la Juventus.