Ternana: the working class goes to heaven: è questo il titolo del documentario sulla storica promozione in serie B della Ternana Calcio uscito pochi giorni fa e realizzato da Martino Simcik Arese e Valerio Curcio. Una intitolazione che riporta alla mente, almeno ai cinefili come me, un capolavoro del grande schermo quale La classe operaia va in paradiso, girato nel 1971 per la regia di Elio Petri e con una magnifica interpretazione di Gian Maria Volonté.
In questo cortometraggio Curcio e Arese cercano di far capire agli spettatori il forte legame tra la Ternana Calcio e la città umbra di Terni, conosciuta con il soprannome di “Manchester d'Italia”. Tale appellativo non è stato scelto a caso: questo centro abitato, da sempre, ha una forte componente operaia viste le numerose fabbriche, soprattutto acciaierie, presenti nella zona.
Questo lato operaio lo si ritrova fortemente nella tifoseria della squadra rosso-verde, come spiegato bene da alcuni tifosi del maggior gruppo ultras locale, i Freak Brothers. Ma gli operai non mancano neanche tra coloro che scendono, o sono scesi in un passato nemmeno troppo remoto, nel rettangolo da gioco.
Cosa sarebbe oggi di Katherine Dunn se nel 1980, per qualche motivo, non avesse acconsentito alla richiesta del marito che mentre usciva di casa le chiese il favore di seguire un incontro di pugilato in tv per poi raccontarglielo al suo ritorno, non è dato saperlo. È un fatto però, per sua stessa ammissione, che l’avventura dell’autrice come cronista della noble art inizia esattamente in quel momento, come raccontato non senza ironia nella prefazione del suo libro Il circo del ring. Dispacci dal mondo della boxe, pubblicato nella sua versione italiana da 66th&2nd e tradotto da Leonardo Taiuti.
Sezionando l’opera in questione, i seguaci della matematica troveranno spunti interessanti. Ci sono ventidue articoli, un’introduzione e un epilogo. Duecentosettantadue pagine. Nel campo delle suggestioni quindi questo è un libro palindromo, con echi cabalistici. Più semplicemente, però, sono trent’anni di cronache appassionate del ring in cui vagare, scritte da una delle voci più autorevoli del pugilato americano. Un condensato di grandi campioni e piccole storie pubblicate su giornali e riviste come «The Ring», «Sports Illustrated», «Vogue», «New York Times», «Esquire» «Playboy» e soprattutto «Willamette Week», che ritraggono l’arte marziale più antica del mondo, nuda e cruda, raw & uncut. Autentica e senza fronzoli.
Ci sono momenti della vita che sono come quei crinali montuosi grazie ai quali si riesce a vedere sia il percorso già fatto che quello che ci si prospetta davanti. Ed è questa l’ambientazione allegorica che riesce a tenere uniti tutti i personaggi dell’ultima (validissima) fatica letteraria di Juri Di Molfetta.
A partire da chi non compare mai direttamente nel romanzo ma il cui spirito volteggia su tutte le oltre trecentocinquanta pagine di questo piacevole romanzo: gli anni ’80, il decennio yuppie per antonomasia, che sarebbero passati sulle tensioni sociali irrisolte con aperitivi su aperitivi e che si erano appena affacciati portando in dote – tra i tanti disastri – il mondiale di Spagna che avrebbe consolidato il mito del calcio come oppio dei popoli.
Dopo la storia dello Spartak Mosca, continuiamo con le recensioni in salsa sovietica anche per questo 2021. Lo sportivo che celebriamo è nientemeno che uno dei più grandi calciatori russi di tutti i tempi, il mitico “ragno nero”, Lev Ivanovìch Jasin.
In vita mia sono sempre rifuggito dalle assolutizzazioni, cercando di smarcarmi dal tipo di frase: “tizio è stato il più forte di sempre, caio è il migliore di tutti i tempi”, mi sfuggono i parametri e i numeri (che per carità ci sono e sono consultabili) rispetto alle emozioni e ai contesti che li rendono tali.
L’unica eccezione è forse Diego Armando Maradona, coacervo di numeri e sentimenti, ma anche qui non mi sento di contestare chi ha eletto a suo Dio qualcun altro che non sia proprio lui, D10s.
Anche su Jasin non mi sento di crocifiggere qualcuno in caso non lo si consideri il più forte di sempre, ci mancherebbe, ma in questo articolo spero di riuscire a dipanare qualche dubbio sulla sua figura, aggiungendo qualche considerazione personale che aiuti la comprensione dell’unico portiere che ha vinto il pallone d’oro.