Se c'è una cosa che la pandemia ha portato a galla in maniera dirompente, è la crisi del sistema calcio nostrano e mondiale. Il teatrino chiamato “calcio moderno” non regge più e comincia a scricchiolare e perdere pezzi. I segnali erano già evidenti da anni, a fronte delle numerose squadre di serie C e leghe minori saltate a causa di fallimenti dovuti a gestioni societarie fallimentari o semplicemente a costi sempre più elevati per la gestione di un club. Proprio in questo periodo per salvare questo “giochino” assistiamo ai dirigenti delle diverse società, gli stessi che fino ad oggi hanno monetizzato su calciatori, plusvalenze, tv e chi più ne ha più ne metta, chiedere con forza una “rivoluzione” sul monte ingaggi dei calciatori per evitare il default definitivo del sistema calcio.
Come è stato per I ribelli dello stadio, Pierluigi Spagnolo con il suo nuovo lavoro, Contro il calcio moderno, edito da Odoya, fa un excursus a 360 gradi nel mondo del calcio provandogli la febbre, con il risultato di essere di fronte a un paziente molto, molto malato il quale sarà difficile da salvare o in minima parte recuperare se non attraverso un serio e reale default che riporti questo mondo, ma soprattutto lo sport calcio, a essere il più bello del mondo.
Un colpo al cuore, l'ennesimo. Lo è stato nel rivedere le immagini del G8 di Genova, come per il film su Stefano Cucchi ed è quello che ho provato durante la lettura di Federico Ovunque, scritto da Daniele Vecchi, edito da Red Star Press - Hellnation Libri.
Un colpo al cuore e successivamente rabbia per una storia che tutti noi non vorremmo fosse mai successa e invece è successa. Una storia che doveva essere raccontata, anche se per molti fa male, doveva essere messa nero su bianco per far sì che chiunque leggendola possa capire l'assurdità di tutta questa vicenda, perché al posto di Federico potevamo e potremmo esserci noi.
L'importanza di questo libro sta tutta qua.
Perché come lo è stato per il film su Stefano Cucchi, narrare gli abusi da parte della polizia, troppo spesso tenuti nascosti dallo Stato e dall'opinione pubblica, è fondamentale per rompere questi meccanismi, scoperchiati solo grazie alla tenacia, alla forza d’animo e allo spirito dei famigliari e amici colpiti, capaci sin dai primi momenti di non credere alle “verità” messe in campo dallo Stato.
Daniele De Rossi abita dove lavoro io. Lo incrocio, lo guardo, lo seguo con spietata riverenza e un dolcissimo stalkeraggio. Sono talmente impietrito di fronte a lui che in tanti anni non ho ancora avuto il coraggio di rivolgergli la parola e chiedergli un banale selfie, o un po' più romantico autografo. Diversamente i miei colleghi fanno incetta di sorrisoni e godono di quella gentilezza cavalleresca di cui l’uomo De Rossi è ampiamente dotato.
Forse vederlo mi ricorda il mio passato da calciatore nelle giovanili, mi ricorda i derby giocati e vinti, mi ricorda il suo lungo caschetto biondo, il nove sulle spalle, la sua tecnica, il suo ruolo di attaccante. Mi ricorda un'altra èra di felicità per me, e forse anche per lui. Una cosa che mi ricordo con molta precisione è che in campo era coattello, tignoso, c’era qualcosa di indefinito, sembrava vagasse furente senza scopo, sportellava con tutti.
Bello, semplicemente bello. La recensione del nuovo lavoro di Francesco Berlingieri, Pallone, Asfalto e Betoniere, si potrebbe chiudere qui.
Mi capita raramente di “divorare” un libro: il mio lavoro, i tempi di vita non mi hanno mai permesso di stare su un libro come si deve. In questo caso però la curiosità, il fatto di capire cosa ci avrebbe raccontato nel capitolo successivo ma sopratutto di rivivere in quelle pagine la tua vita, ha fatto sì che in poche ore, pagina dopo pagina questo fantastico libro fosse assaporato e gustato come un buon piatto di tortellini (eh lo so, sono modenese, i riferimenti sono questi).