Nel vasto reticolo urbano della città di Roma, tra le vie strette e quelle di ampio respiro, tra l’arco di Costantino e il Circo Massimo, si inserisce via di San Gregorio. Proprio qui, lungo il muro che costeggia la strada, è affissa una targa celebrativa le cui parole impresse sfuggono all’attenzione dei passanti:
Ad Abebe Bikila,
Maratoneta d’Etiopia
Vincitore della Maratona della XVII Olimpiade
Napoli, 27 giugno 1971, stadio San Paolo ore (più o meno) 18.40.
Dall’emittente radiofonica nazionale, il sempre troppo poco compianto Sandro Ciotti informava i radioascoltatori che al termine di una trama di gioco sulla fascia sinistra orchestrata da Braca – entrato grazie a un’intuizione di Mister Seghedoni una decina di minuti prima per lo stremato Ciannameo per quello che era l’unico cambio consentito per i giocatori di movimento – Franzon e Gori, che era riuscita a rompere l’assedio biancorosso, quest’ultimo crossava velenosamente la palla in area dove Angelo Mammì anticipava il portiere Spalazzi depositando la palla in rete, portando non solo il Catanzaro, ma l’intera Calabria e probabilmente anche l’universo concettuale del calcio di provincia del Sud in Serie A, dopo altri dieci minuti che ai presenti e a tutti coloro che avevano a cuore le sorti dei giallorossi sembrarono un’immensità.
Il 22 febbraio 1980 veniva ucciso Valerio Verbano, giovane militante dell'Autonomia Operaia. Questo ragazzo di neanche 19 anni, che avrebbe compiuto il 25 febbraio seguente, fu freddato da un colpo di pistola alla schiena nella sua casa di via Monte Bianco 114, nel quartiere Montesacro di Roma. Per quanto tuttora manchi una verità giudiziaria, si è sempre parlato a ragione di un vero e proprio omicidio pianificato di sicura matrice fascista, riconducibile ad appartenenti alla galassia neofascista capitolina del tempo. Valerio infatti, per riprendere le parole del padre Sardo, era un “loro nemico giurato” che militava a tempo pieno nell'ambito antifascista militante romano. Purtroppo, però, non si riuscì mai a dare una vera svolta alle indagini. Difatti ancora oggi, a più di 40 anni di distanza da quel giorno, non è stato trovato un vero e chiaro colpevole per quell'omicidio.
Provengo da una famiglia integralmente milanista, a tal punto che mio fratello, nato nel passaggio di consegne dal Milan di Sacchi a quello di Capello, si chiama Marco e non per caso. Uno dei più nitidi ricordi che ho della mia infanzia è la delusione dei miei parenti all’epilogo del campionato 1989-90, quello della “Fatal Verona bis”, per intenderci quella in cui l’arbitro Lo Bello fece il bello e il cattivo tempo determinando le sorti dell’intero campionato. Se a ciò si aggiunge che alle elementari il mio principale antagonista era Carlo, un ragazzino originario di Salerno tifosissimo del Napoli, forse si può comprendere come fino a un’età adolescenziale il mio sentimento nei confronti di Maradona fosse di ostilità e ben sintetizzabile nel coro ripetevo istintivamente quando lo vedevo in Tv; lo stesso che accompagnò gli ultras milanisti, all’epoca nel loro periodo ruggente, al seguito della squadra nella vittoria che consegnò a Sacchi lo scudetto del 1988 e al mondo una squadra che sarebbe entrata nella storia: “Guarda le bandiere, Maradona sono rossonere”, che faceva il verso alla famosa frase di Diego che per quel match non voleva vedere bandiere del Milan al San Paolo.