Il triplice fischio finale dell’arbitro svedese, il signor Erik Friedriksson, sancisce la fine della partita. Oltre 120 minuti di gioco, fra tempi regolamentari e supplementari, non sono bastati per decretare la squadra vincitrice della Coppa dei Campioni.
È il 30 Maggio 1984, le statistiche ufficiali parlano di circa 70.000 persone che gremiscono gli spalti dello Stadio Olimpico di Roma. La realtà è che in quello stadio le persone sono molte di più, la capienza massima è superata ampiamente, le tribune e le curve sono stipate oltre l’inverosimile. La città è ferma, come ipnotizzata, dal 25 aprile di quello stesso anno quando la Roma, battendo 3 a 0 il Dundee Utd e ribaltando così lo 0-2 dell’andata, ottiene il “pass” per giocare la finale della Coppa più importante al livello di club, per di più nel suo stadio.
Alla stampa e all'opinione pubblica
Cari sostenitori dell’Amedspor e popolo prezioso
Ho giocato a calcio per due stagioni e mezzo, con entusiasmo, nella squadra dell’Amedspor alla quale ho dato il cuore. Di questo periodo, conservo dei bei ricordi che non potrei mai dimenticare nella mia vita. Oltre al calcio, abbiamo stretto legami sinceri con la nostra gente. Ho avuto giorni pieni di amore, rispetto, gioia e felicità, e una grande famiglia che mi aveva offerto ciò. Non si può dire che su questo cammino che abbiamo intrapreso con l'obiettivo della vittoria, abbiamo avuto molto successo. Ci ha sempre reso tristi. In qualità di Amedspor, eravamo tristi, abbiamo riso, ci siamo presi le nostre colpe. Abbiamo sentito e fatto sentire tutte queste emozioni nella veste della famiglia dell’Amedspor.
Oggigiorno l'appartenenza politica non ha contagiato solamente gli spalti degli stadi italiani ma anche i rettangoli da gioco. Sono numerosi, infatti, gli episodi “militanti” che in Italia, ma non solo, vedono come protagonisti i giocatori che, secondo una tradizione popolare, dovrebbero essere dei “maestri di vita” per chi va a vederli ogni domenica allo stadio.
Dall'ultimo caso, in ordine cronologico, del tesserato del 65 Futa, che a metà novembre ha esultato facendo il saluto romano ed esibendo una maglietta con l'aquila romana della Repubblica Sociale Italiana durante la partita col Marzabotto, fino ai numerosi saluti romani di Paolo Di Canio per incitare i tifosi della Lazio, risultano essere sempre più frequenti gli eventi in cui il neofascismo ha potuto mettersi in bella mostra grazie agli infami gesti di questi individui. Dall'altra sponda della barricata anche l'antifascismo ha avuto alcuni calciatori che non hanno avuto nessun problema a mettere chiaramente in luce i loro ideali politici: Cristiano Lucarelli e Riccardo Zampagna giusto per citare due nomi famosi.
Il 9 ottobre 1967 veniva ucciso, nel piccolo villaggio boliviano di La Higuera, Ernesto “Che” Guevara de La Sierna. Tale figura è ricordata soprattutto per il suo ruolo avuto durante la Rivoluzione Cubana del 1959 insieme a Fidel Castro e altri, ma anche per i tentativi fatti di “esportare” la rivoluzione in altre zone del mondo come il Congo o la Bolivia.
Chiunque, anche chi scrive, ha avuto modo di entrare in contatto con questa figura in vari modi. Sicuramente avrete visto, almeno una volta durante la vostra vita, una maglietta, una tazza o una spilla con la faccia del Che e la storica frase da lui pronunciata “Hasta La Victoria Siempre”.
La figura del Che, però, nasconde numerosi altri lati che non sono ancora stati messi alla luce del tutto. Uno di questi è sicuramente la sua passione per vari sport che, nonostante l'asma che lo accompagnò per tutta la vita, non lo abbandonò mai.
Calcio, scacchi, nuoto ma soprattutto rugby furono solo alcune delle pratiche sportive a cui Ernesto Guevara si dedicò continuamente, sia quando era un semplice studente della facoltà di medicina dell’Università di Buenos Aires, sia quando ricoprì importanti ruoli durante la carriera “politico-rivoluzionaria”.