Ai tempi delle restrizioni governative e del Corona virus, c’è un'attitudine che abbiamo sempre coltivato e che continueremo a coltivare anche quando la normalità tornerà (e presto si spera), ossia quella di leggere e scrivere e sovente di socializzare quello che un libro o una rivista ci ha suscitato, una sorta di rubrica per i consigli (o sconsigli) sugli acquisti. Chiaramente nel nostro piccolissimo e con tutta l’umiltà di questo mondo.
Scriviamo oggi di questo piccolo libro, edito da Mattioli 1885, precursore di quello che abbiamo visto (tra l’incredulità per quello che sta succedendo a livello di pandemia e con il tarlo del “show must go on”) nei ritorni di Champions League, dove i protagonisti assoluti in campo sono stati da una parte l’eleganza, la forza, la classe di Ilicic, per quel che concerne il passaggio del turno dell’Atalanta, e dall’altra un muro vestito di giallo e di nome Oblak, portiere protagonista dell’altro superbo ottavo di finale vinto dall’Atletico Madrid. Entrambi i protagonisti sono sloveni.
E questo libro parla di territori balcanici, di Slovenia (di cui uno degli autori è nativo) come di Serbia e di Bosnia. Di calcio come di basket.
Oooh...magico.
Di colpo sento come una roba dolce che mi si scioglie in pancia e una botta di euforia e guardo Sick Boy, e di profilo la sua faccia si deforma intanto che un assurdo, felice ruggito spasmodico sale e il tempo si ferma e CAZZO DI CRISTO ONNIPOTENTE LA PALLA È NELLA RETE DEI RANGERS! Hendo ha battuto un altro corner, l’ha messa al centro, qualche stronzo l’ha deviata di testa e i giocatori son tutti addosso a David Gray e i tifosi stanno sbroccando totale cazzo!
Sick Boy c’ha due occhi a boccia. DA-VIE-GRAYYY-CAZZ!
Irvine Welsh, Morto che Cammina
Il nuovo romanzo di Irvine Welsh (nato a Leith/Edimburgo il 27/9/1958) Morto che Cammina (Guanda 2019) non è semplicemente, come banalmente si pensa, l’ennesimo – fantasmagorico – capitolo della saga dei gattoni di Leith: Trainspotting (1993), il sequel Porno (2002), il prequel Skagboys (2012) e lo spin off, che vede Franco Begbie protagonista, L’Artista del Coltello (2016).
La prima cosa che ho chiesto a Romano Lupi è stata se avesse mai giocato in porta.
Sì perché puoi scrivere di portieri, puoi parlane, discuterne e criticarne ma se non sei mai stato uno di loro la tua visione sarà sempre parziale e monca. L’essere portiere è uno stato emotivo-esistenziale che accomuna tutti i numeri uno. Tutti nessuno escluso.
Quando lessi la biografia di Jasin (Curletto-Lupi), la bellissima biografia ergo, mi colpirono tre momenti particolari che gli autori descrissero proprio a voler rimarcare la grandezza come portiere, l’umanità e moralità come cittadino sovietico.
Quella in cui si è cimentato l’amico Davide Ravan è un’opera documentaria che rende un servizio a tutti noi, a tutto l’ambito sempre più ampio, e di conseguenza variegato, del “calcio popolare”. Fra alcuni anni, cosa di cui magari oggi ancora non ci rendiamo pienamente conto, potrebbe esserci ancor più utile questa sorta di pietra miliare, di istantanea che ritrae lo stato dell’arte di questo movimento nell’anno 2019. Perché si tratta di una galassia di realtà in rapida evoluzione, in cui ogni anno nascono nuove formazioni e altre, fortunatamente in misura minore, incontrano delle difficoltà o cessano del tutto l’attività. Ci sono gli sviluppi diversi da territorio a territorio, così come le scelte di ognuno in termini di finanziamento, organizzazione, sponsorizzazioni. Le categorie diverse in cui le squadre giocano, che costringono quindi a traiettorie non sempre uguali, a sperimentazioni, a mediazioni tra la dimensione ideale e il misurarsi con la realtà dei fatti. E quindi mettere un punto, fare un ritratto completo del panorama in un dato momento è opera meritoria e fa del bene a tutti.