Una volta ho letto una sua intervista e alla domanda su quali sport preferisse, lui ha risposto che solo il calcio, il ciclismo e il pugilato avevano quell’epicità che li contraddistingue da tutti gli altri.
Molti ne contesteranno la veridicità ma io apprezzai molto quella risposta.
Probabilmente perché gioco a calcio, avevo un nonno pugile e un padre ciclista dilettante. Chissà.
Fatto sta che Marco Ballestracci, amico e narratore di sport (e di vita), ha fatto breccia nei nostri cuori.
Di lui e dei suoi racconti sul calcio abbiamo già scritto e apprezzato, abbiamo organizzato una presentazione e lo spettacolo “La storia più dura del mondo”, ma ci mancava ancora tutto un altro Marco, il Ballestracci che scrive di ciclismo.
Che di calcio (e di portieri) ne capisse e che ne sapesse raccontare le gesta, le contraddizioni, il fervore si era già capito ma leggere il suo 1961 ci ha dato una dimensione più completa della sua capacità.
Per chi ha intorno ai 30 anni o poco più, i Balcani rappresentano una terra piena di fascino e inquietudine, così vicina geograficamente ma così lontana, per quelli che erano i nostri occhi di bambini nei primi anni ’90, per via delle terribili immagini di guerra che per anni continuavano ad arrivare con cadenza quotidiana. Per chi poi è particolarmente appassionato di storia e politica, queste regioni rappresentano delle autentiche miniere d’oro: millenni di conquiste, invasioni e guerre, ma anche di sviluppo costante delle popolazioni autoctone, hanno generato un mix di lingue, culture, religioni, forme politiche che ha pochi eguali al mondo. Stringendo lo sguardo sui paesi dell’ex Yugoslavia, l’impressione che rimane, circondata da un alone di malinconia, è che l’unico modo per valorizzare questo complicatissimo mix e farlo non solo sopravvivere, ma diventare modello positivo, fosse la Federazione di stampo socialista che per circa un quarantennio ha garantito pace, giustizia sociale e un certo benessere. Questa esperienza è stata poi distrutta e annegata nel sangue, per far prevalere interessi nazionali particolaristici, alle dirette dipendenze degli interessi delle grandi potenze europee e degli USA. Poco prima delle guerre yugoslave, nel resto dell’Est Europa erano crollati i governi comunisti, inaugurando una stagione di democrazia formale e di capitalismo di mercato che ancora adesso continua a mostrare mille crepe e ad approfondire le disuguaglianze.
C’è un bel documentario su Netflix. Si chiama Forever Pure (2016) e racconta la storia della tifoseria del Beitar Jerusalem e più in generale della squadra, con un focus sulla stagione 2013-2014, quando va in scena un feroce braccio di ferro fra la tifoseria e il presidente Arcadi Gaydamak, un discusso uomo d’affari non proprio amato di suoi tifosi.
Fin qui tutto bene, classica “storia di pallone”: tensione fra curva e presidente, un canovaccio già visto. Ma in realtà dietro questo scenario apparentemente innocuo si cela ben altro, che racconta, meglio di qualunque analisi politica, una parte rilevante della società israeliana odierna. Perché la goccia che fa traboccare il vaso – rompendo il già precario equilibrio fra tifosi e presidente – è l’acquisto di due giocatori ceceni di religione musulmana, Zaur Sadaev (attaccante) e Zhabrail Kadiev (difensore) da parte della dirigenza del Beitar.
Andrea Genovali, Fare come in Russia, Red Star Press – Hellnation libri, Roma 2018.
Con la doverosa eccezione dei feticisti del tifo da stadio (come il sottoscritto) e di qualche appassionato dell’Italia dei Comuni, la rivalità tra Viareggio e Lucca è pressoché sconosciuta ai più, appiattita come la stragrande maggioranza delle dispute toscane su quella che probabilmente è la più sentita rivalità campanilistica del nostro paese, quella tra Pisa e Livorno.
Eppure, è proprio a un incontro di calcio tra le squadre delle due città che nei primi giorni del maggio del 1920, non solo si verifica la prima morte violenta su un campo da calcio della nostra penisola, ma soprattutto un tentativo rivoluzionario che poteva contare sulla suggestione di quanto accaduto pochi anni prima in Russia e di quanto si stava sviluppando, pur con fortuna diametralmente opposta all’ottobre russo, nell’Ungheria sovietica di Bela Kun e in Baviera.