Il più grande pregio di A sud di Maradona di Andrea Ferreri (Edizioni Bepress, 2015) è quello di rendere alla perfezione quell'identità totale e quasi mistica che si crea tra le città di provincia, specie quelle del sud, e la propria squadra. Oltretutto, quello raccontato nel libro è un periodo particolare del calcio italiano, quello tra la seconda metà degli anni '80 e i primi anni '90: una sorta di età dell'oro, fatta di grandissimi campioni in campo oltre a stadi stracolmi e una passione popolare travolgente. Certo, è anche un'epoca forse mitizzata al giorno d'oggi, ma d'altra parte quando la realtà che vivi è deprimente e tra pay-tv e repressione si è spenta la passione di molti, è facile dipingere nostalgicamente un passato romantico e meraviglioso.
Per chi vive in provincia, specie in province molto periferiche, la conquista della serie A da parte della propria squadra è uno degli eventi fondamentali della vita, paragonabile al giorno del matrimonio, al primo contratto di lavoro decente, alla nascita di un figlio. Per la propria città è un riconoscimento di valore enorme, un debutto in società, una vetrina da cui finalmente il mondo intero potrà conoscere non solo la squadra di calcio ma un intero territorio, perché quando arrivano le grandi squadre tutti gli occhi sono puntati su di te. Lecce si affaccia per la prima volta su questo palcoscenico nella stagione '85-'86, in un autentico delirio collettivo: è uno dei territori più periferici d'Italia, il Salento non ha ancora conosciuto quel pazzesco boom commerciale e turistico che arriverà tra gli anni '90 e soprattutto i 2000, portando da un lato soldi e sviluppo ma dall'altro iper-sfruttamento e gentrificazione. Ferreri racconta quindi una terra povera, isolata e arretrata, per la quale la promozione in serie A è un autentico riscatto collettivo, una conquista sociale, un motivo d'orgoglio che va oltre il rettangolo verde. In un'Italia calcistica dove il nord domina, e dove a sud di Napoli nessuna squadra milita con regolarità nella massima serie, Lecce si affaccia per sfidare i giganti. In quegli anni esiste quindi qualcosa a sud di Maradona, a cominciare dalla presenza di due suoi compagni di nazionale: in quell'epoca il campionato italiano è ancora di gran lunga il più bello del mondo, e capita che in una squadra che lotta per la salvezza giochino due nazionali argentini, Barbas e Pasculli (quest'ultimo campione del mondo nell'86), e che non se ne vadano nemmeno negli anni di serie B. Oggi sarebbe impensabile. E non è un caso che questi due giocatori siano diventati per Lecce degli idoli senza tempo, dei simboli di amore e di attaccamento alla maglia e alla città, due campioni che pur venendo da lontano hanno amato profondamente Lecce e il Salento, venendone completamente ricambiati. Tanto che Pasculli vive ancora lì, mentre Barbas, tornato in Argentina dove Ferreri lo raggiunge in un emozionante viaggio, ne parla ancora con le lacrime agli occhi.
La prima stagione nella massima serie a livello sportivo è una via crucis che si conclude con una retrocessione con diverse giornate d'anticipo, ma una partita passa comunque alla storia: alla penultima di campionato, all'Olimpico, la Roma cede clamorosamente al Lecce già retrocesso per 3 a 2 e perde lo scudetto. E comunque, per i 55 mila tifosi del Via del Mare vedere Maradona che gioca sul proprio campo è già una soddisfazione che rasenta l'incredibile. Ma la vera gloria arriverà dopo la seconda promozione, arrivata al secondo campionato di B con in panchina un altro eroe, Carletto Mazzone. La stagione '88-'89 si chiude con la storica salvezza ottenuta all'ultima giornata contro il Torino, in quel Via del Mare che diventa una vera roccaforte per i giallorossi, che al contrario si perdono spesso fuori dalle mura domestiche. Di fronte ai propri tifosi il Lecce batterà addirittura la Juve in uno di quei match che il tifoso di provincia si tatua addosso per l'eternità. Nella stagione successiva l'impresa viene ripetuta, anche grazie all'inserimento di giovanissimi autoctoni dal grande avvenire come Antonio Conte e Checco Moriero.
Ma nel terzo anno di serie A, come sembra dover accadere per forza in tutte le belle favole, qualcosa si rompe: in panchina Boniek sostituisce Mazzone, ma soprattutto viene fatto fuori Beto Barbas, il numero 8 che negli anni ha guidato la squadra e fatto esplodere la curva con i suoi calci di punizione. La tifoseria è disperata e Pasculli depresso senza quella che era diventata l'altra sua metà calcistica, ci sono quindi tutte le premesse per il dramma sportivo che infatti avviene: dopo un buon girone d'andata, crollo vertiginoso e retrocessione. Per toccare di nuovo vette simili di entusiasmo bisognerà aspettare il Lecce di Chevantón, ma è un'altra storia.
A sud di Maradona è quindi un libro che rende alla perfezione lo stato d'animo di un'intera città di fronte alle vicende della propria squadra e dei suoi giocatori più rappresentativi, quelli che catturano il cuore e stuzzicano la fantasia, come Barbas e Pasculli che, ancora oggi, per le giovani generazioni di leccesi, costretti a un calcio di milioni e giocatori mercenari, rappresentano veri e propri miti. Si può dire insomma che restituisca appieno la dimensione autenticamente popolare che il calcio di quegli anni conservava anche nella massima serie. Un libro “a cuore aperto” che senza troppi fronzoli stilistici, e con quel pizzico di esagerazione che il vero innamorato mette nel raccontare l'oggetto del proprio amore, ritrae molto bene i meccanismi di esaltazione collettiva, e quelli speculari di terribile tristezza, che gli esseri umani possono vivere a seconda del rotolare di un pallone e delle vicende della squadra della propria città. E ovviamente, per chi tifa Lecce, è un libro obbligatorio.
Matthias Moretti