I FURIOSI, tratto dall’omonimo romanzo di Nanni Balestrini
Regia di Fabrizio Parenti
Teatro India, Roma, 13/28 febbraio 2016
Inutile negarlo: Nanni Balestrini ha fatto, con la sua letteratura, molta più sociologia di tanti sociologi “di professione”. Se il sociologo cerca di imbrigliare la realtà e analizzare le banalità quotidiane, il narratore – come ha scritto Walter Benjamin – è interessato a trasformare la rozza quotidianità in epica. Con “I Furiosi” Balestrini è riuscito a costruire un’Iliade di ciò che è stata la sottocultura ultras. Pur immune dal tifo calcistico, a Balestrini “è apparso chiaro che il calcio e la partita non erano che banali pretesti per vivere momenti di passione e di gioia collettiva, strappati a un grigio presente, a una vita umiliata, così avara di felicità e speranza”. Tratto dall’omonimo romanzo, con l’adattamento del giovane drammaturgo Federico Flamminio e per la regia di Fabrizio Parenti, siamo andati a vedere “I Furiosi” al Teatro India (in programmazione fino al 28 febbraio, per info: http://www.teatrodiroma.net/doc/3621/i-furiosi).
Il dinamico e ben ritmato spettacolo segue le vicende di un gruppo di tifosi delle Brigate Rossonere, gruppo ultras del Milan. Lo spunto da cui parte il romanzo e, di conseguenza, anche lo spettacolo è un fatto di cronaca: siamo nei primi anni Novanta e i tifosi rossoneri in trasferta a Cagliari riescono a rubare lo striscione ad un gruppo rivale, i cosiddetti “Furiosi”. Nel codice cavalleresco ultras è l’affronto più pesante e umiliante. La rabbia per aver perso lo striscione farà rivoltare i tifosi cagliaritani. La guerriglia tra le due tifoserie sarà sedata con difficoltà dalle forze dell’ordine ma i tifosi milanisti riescono comunque a trafugare lo striscione, esponendolo dalla nave quando salpano per il ritorno sulla terraferma.
Da qui nasce uno spettacolo fatto di corpi e voci tragicomiche. La radicalità e soprattutto l’estetica della violenza (“la violenza è bella”, dichiarano i personaggi nello spettacolo), la droga, la fratellanza, la fede nel calcio si mischiano, dando voce ad un linguaggio torrenziale, concitato. Come nei libri di Nanni Balestrini, senza punteggiatura.
Una scenografia asciutta (che con un’impalcatura fatta di tubi innocenti rappresenta lo stadio e i mezzi di trasporto per la trasferta: pullman scassati e treni più che controllati) contiene i corpi degli attori. Corpi vitali perché l’ultras si nutre di violenza: contro il tifoso avversario, contro la polizia, contro l’ordine. Una violenza torrenziale che porta i tifosi a resistere contro le cariche, tutti insieme, con quella vicinanza che fa parte dell’etica del movimento ultras, per poi entrare allo stadio e intonare cori facendo il simbolo della P38. Perché calcio e politica si incontravano e andavano a sinistra, illo tempore. Perché lo stadio era una palestra di autorganizzazione e di quel conflitto che poi veniva portato nelle piazze.
Parlare di radicalità e appartenenza in un mondo che è stato definito “liquido” non è facile. Le ideologie non sono più forti come una volta, qualcuno ha parlato di “fine della storia”; come pretendere che anche nel calcio il Mito e la Fede rimangano intatti?
A frequentare gli stadi, per come ce li racconta “I Furiosi”, erano proletari che potevano avere il vizio della droga o l’essere un po’ rissosi. Ma erano proletari e non quei piccolo-borghesi che ormai preferiscono stare davanti alla tivù con una birra e una pizza portata da un lavoratore precario. Erano violenti, è vero. Ma la violenza la subivano ogni giorno: in carcere, sul posto di lavoro, nelle strade, e allora, oltre a frequentare la curva, quei proletari si ritrovavano fianco a fianco nelle piazze per intonare gli slogan dell’Autonomia Operaia. E poi la violenza ha una sua estetica, quella rappresentata nelle numerose immagini di archivio (curate da Francesca Del Guercio) che rimandano alla cronaca dei fatti narrati.
Lo spettacolo infatti è anche multimediale: dietro agli attori scorrono immagini riprese dentro e fuori gli stadi, tra gli anni Settanta e Ottanta, dove la piazza era (anche) luogo di violenza, ma non solo.
Dunque, l’opera non rappresenta solo la violenza o le comiche vicende del goffo gruppo di tifosi: c’è anche un’altra cifra fondamentale del movimento ultras: la solidarietà, vocabolo che sembra ormai sparito dal lessico politico contemporaneo. E allora il momento più toccante dello spettacolo racconta in un momento epico, diffuso in tutto il mondo, la vicenda che vide i tifosi milanisti intonare il celebre “You’ll never walk alone” dopo la tragedia che vide morire 96 supporters del Liverpool nella strage di Hillsbourugh (1989). Gli attori cantano – “walk on, walk on” – mentre sullo schermo corrono le immagini reali dei tifosi che intonano la canzone tra lo stupore dei calciatori e dell’arbitro durante una partita di Coppa Campioni (come si chiamava una volta!). E i brividi corrono lungo la schiena. È il momento più toccante dello spettacolo.
Perché come in tutti i poemi cavallereschi violenza e ironia si alternano alla commozione della solidarietà, dell’essere gruppo, dello stare dalla stessa parte della barricata.
You’ll never walk alone.
Alice MM – Valerio Guzzo