I FURIOSI, tratto dall’omonimo romanzo di Nanni Balestrini
Regia di Fabrizio Parenti
Teatro India, Roma, 13/28 febbraio 2016
Inutile negarlo: Nanni Balestrini ha fatto, con la sua letteratura, molta più sociologia di tanti sociologi “di professione”. Se il sociologo cerca di imbrigliare la realtà e analizzare le banalità quotidiane, il narratore – come ha scritto Walter Benjamin – è interessato a trasformare la rozza quotidianità in epica. Con “I Furiosi” Balestrini è riuscito a costruire un’Iliade di ciò che è stata la sottocultura ultras. Pur immune dal tifo calcistico, a Balestrini “è apparso chiaro che il calcio e la partita non erano che banali pretesti per vivere momenti di passione e di gioia collettiva, strappati a un grigio presente, a una vita umiliata, così avara di felicità e speranza”. Tratto dall’omonimo romanzo, con l’adattamento del giovane drammaturgo Federico Flamminio e per la regia di Fabrizio Parenti, siamo andati a vedere “I Furiosi” al Teatro India (in programmazione fino al 28 febbraio, per info: http://www.teatrodiroma.net/doc/3621/i-furiosi).
Da che mondo è mondo, esiste una “storia” ufficiale, che passa agli annali, viene presa per vera e, soprattutto, è invariabilmente scritta dai vincitori. Poi ci sono le storie, o le leggende, senza le quali la storia ufficiale sarebbe un freddo e scarno referto di avvenimenti. Quelle che colorano il mondo, gli danno senso profondo, spiegano i comportamenti umani più di mille trattati scientifici. E il calcio è uno di quei mondi che non può fare a meno di simili leggende, quelle che andremo a conoscere con questa serie di racconti. E si badi bene, queste storie sono vere. Come sono vere tantissime altre leggende e storie tramandate. Parafrasando Pasolini, “sono vere ma non abbiamo le prove”. Semplicemente la tradizione orale, i racconti sentiti a bordo campo, negli spogliatoi, nelle chiacchiere da bar tra addetti ai lavori, nelle redazioni. La storia raccontata dal popolo, che viene trascritta solo se qualcuno ci si mette, come accadde millenni fa a tale Omero. Pur non avendo simili ambizioni, abbiamo ricevuto delle storie da un suo umile e anonimo emulatore contemporaneo. E queste storie ci raccontano, nellʼarco degli ultimi ventʼanni, il calcio dellʼimbroglio, dello scandalo, del sottobosco, non solo nel “calcio che conta” ma anche nella laida provincia, tra personaggi dʼaltri tempi e macchiette di paese. Dove lʼanima potente e quella popolare del calcio e dellʼessere umano si fondono in una trama ridicola e inquietante, deprimente ed esaltante. Il tutto sotto lo sguardo di un “Grande Vecchio” che tutto sa e tutto può. Ogni giovedì su sportpopolare.it. Buona lettura.
Il più grande pregio di A sud di Maradona di Andrea Ferreri (Edizioni Bepress, 2015) è quello di rendere alla perfezione quell'identità totale e quasi mistica che si crea tra le città di provincia, specie quelle del sud, e la propria squadra. Oltretutto, quello raccontato nel libro è un periodo particolare del calcio italiano, quello tra la seconda metà degli anni '80 e i primi anni '90: una sorta di età dell'oro, fatta di grandissimi campioni in campo oltre a stadi stracolmi e una passione popolare travolgente. Certo, è anche un'epoca forse mitizzata al giorno d'oggi, ma d'altra parte quando la realtà che vivi è deprimente e tra pay-tv e repressione si è spenta la passione di molti, è facile dipingere nostalgicamente un passato romantico e meraviglioso.
Da che mondo è mondo, esiste una “storia” ufficiale, che passa agli annali, viene presa per vera e, soprattutto, è invariabilmente scritta dai vincitori. Poi ci sono le storie, o le leggende, senza le quali la storia ufficiale sarebbe un freddo e scarno referto di avvenimenti. Quelle che colorano il mondo, gli danno senso profondo, spiegano i comportamenti umani più di mille trattati scientifici. E il calcio è uno di quei mondi che non può fare a meno di simili leggende, quelle che andremo a conoscere con questa serie di racconti. E si badi bene, queste storie sono vere. Come sono vere tantissime altre leggende e storie tramandate. Parafrasando Pasolini, “sono vere ma non abbiamo le prove”. Semplicemente la tradizione orale, i racconti sentiti a bordo campo, negli spogliatoi, nelle chiacchiere da bar tra addetti ai lavori, nelle redazioni. La storia raccontata dal popolo, che viene trascritta solo se qualcuno ci si mette, come accadde millenni fa a tale Omero. Pur non avendo simili ambizioni, abbiamo ricevuto delle storie da un suo umile e anonimo emulatore contemporaneo. E queste storie ci raccontano, nellʼarco degli ultimi ventʼanni, il calcio dellʼimbroglio, dello scandalo, del sottobosco, non solo nel “calcio che conta” ma anche nella laida provincia, tra personaggi dʼaltri tempi e macchiette di paese. Dove lʼanima potente e quella popolare del calcio e dellʼessere umano si fondono in una trama ridicola e inquietante, deprimente ed esaltante. Il tutto sotto lo sguardo di un “Grande Vecchio” che tutto sa e tutto può. Ogni giovedì su sportpopolare.it. Buona lettura.